Montegrino Valtravaglia, in una di quelle valli che parla di Lombardia attraverso la sua morfologia più definitoria. Le strade diventano carreggiata ristretta, rami in mezzo alla strada, laghi scomparsi e boschi d’asfalto. Le curve e i ponti rimangono dietro la vista quei secondi necessari per aver paura del buio… perché qui tutto è selvaggio, i paesi sono case e qualche bottega, gli acciottolati si stringono e le frazioni prendono il nome dalla natura, ridando indietro acqua, nebbia e distanza. Qui il turista non arriva, la montagna non supera i mille metri, l’orizzonte non ripaga e gli alberi nascondono la tranquillità di stare isolati lontani dal desiderio. In Valtravaglia non ci si arriva per caso e non si passa per passare. Ci vuole tempo, si edifica, si rimane irretiti in quel fascino nebuloso che percepisce tutto come vicino ma senza apparenza. Così, chi della provincia di Varese ha sempre visto il passeggio di madre e figlia a spendere i soldi del marito-padre imprenditore/costruttore, qui ritrova il comune senso del pudore in una famiglia che dal sostenibile ha voluto creare un’esistenza.
Corrado Alberti e sua moglie vengono dalle propaggini della Val Seriana, si sono trasferiti a Gallarate per lavoro e, ad inizio del millennio, hanno fatto fagotto, prendendo quella decisione al di là delle posture e delle imposizioni. Fare pane in mezzo al bosco e appena sotto casa, seguendo le orme di Eugenio Pol, ma anche di Mauro Ponzetto, di Damiano Fumagalli, di Frank Metzger e di tutti quei panificatori che del casalingo han creato un’utopia, un’ideologia o una leggenda. Così, cercando il biologico si è imbattuto in Renzo Sobrino, nella sua diffidenza iniziale e nella sua proverbiale facondia, che gli ha consigliato un percorso di cereali macinati a pietra, acqua leggera, idratazioni controllate e lievito madre.
Nonostante la prudenza verso il legno, il contesto non poteva non corroborare una scelta più estenuante che coraggiosa, così faggio, betulla e frassino, tre volte al giorno, quattro-cinque volte a settimana, riempiono la panificazione di Corrado che, con qualche aiuto familiare, riesce in quel progetto proto-autarchico invidia di cravatte manageriali e imprenditori rasterizzati.
La base è la più classica delle semi-integrali Sobrino (tipo 2) a cui aggiunge le noci di Grenoble o i semi di Podere Pereto, le variazioni sul tema sono una segale e austriaca (anche qui l’egida di Eugenio Pol è decisiva), il monococco (con cui fa un pane in purezza… eccezione delle eccezioni), il suo mais coltivato in mezzo ai boschi e qualche forma di grano duro. Pezzature grandi ma non tonde, il pane si conserva abbastanza bene, ha un’ottima umidità, le madri di frumento e di monococco sono legate, il forno a legna fa tre infornate, le prime due dedicate al pane, la terza ai dolci lievitati o similari (pane con nocciole, uvette ecc…), nel più conforme classicismo di montagna, dove la povertà e la durata sono ancora povertà e durata. Un filo di “ciccosità”, nonostante il forno a legna, la crosta è cotta poco, e il pane si mantiene pieno ma abbastanza leggero, le idratazioni sono alte ma non altissime, il monococco in purezza è sorprendentemente alveolato, miracoli di Renzo Sobrino. Il pane è in quella mezzacosta tra il forno casalingo e il professionismo vieppiù sbiadito. Ottime fragranze (eccessive nella segale con quel finocchietto o o quella trigonella che lo rendono molto simile ad un Pusterer Breatl), buona serbevolezza e tecnica-pratica che, se messa a punto, toglierebbe un po’ di quella pesantezza da “pezzo” di pane…
Corrado ha sessant’anni, è appassionato di montagna, i suoi figli probabilmente prenderanno altre strade e questa vita di panificazione biologica sembra non rappresentare altro che una semplice vocazione. La stanchezza se la tiene per sé, ha preso una decisione etica e ha cercato di farla conciliare con la bontà di un prodotto. Rimanendo nascosto, è riuscito a trattenere una vita privata e del tempo libero, senza sanguinare sui panettoni (perché lo spazio è quello che è) e senza rubare del tempo alla famiglia. Al mio paese, si chiama sostenibilità…
FORNO IRIS MARGHERITA
VIA RONCHETTO 3
MONTEGRINO VALTRAVAGLIA (VA)