Nizza Monferrato è un bel rimpasto della storia d’Italia. Quella gastronomica che passa dalla barbera agli spumanti, dal bue piemontese al cardo gobbo fino alle conserve Cirio, quella politica, quella architettonica e quella che, non disdegnando la collina, ci ha tenuto a mantenere un’identità atavica inurbata in una contemporaneità senza pietà, dove le aziende da rotonda senza fine si alternano ai portici dalle botteghe storiche pronte ad accadere. Qui le piazze diventano parcheggi e i vicoli mantengono inalterato il desiderio di passeggio. È un luogo perversamente rilassato, adagiato, quasi confuso, dove le membra si sdilinquiscono nell’impossibilità di scelta. Ci sono troppe sollecitazioni, troppi stimoli, qui il cibo è una cosa molto più che seria, le tradizioni sono sempre un punto di arrivo che riguarda il futuro più che il passato. Nizza è un bel posto per qualunque vecchiaia, dove la fiducia verso il bottegaio è costruzione di ospitalità e accoglienza, e dove il riguardo per il tempo che passa difficilmente si trasforma in noia. Qui m’imbatto per caso in un pastificatore sotto traccia, normale, quotidiano e assolutamente legato ad una conoscenza cittadina e ad una esaltazione dei borghesi da fine settimana ristrutturato.
Sergio Tonella non è abituato alle attenzioni, serve i suoi clienti con costante quotidianità. È diventato un artigiano nel corso del tempo. Ha guidato camion per anni, ha creato la dedizione al lavoro come un normale tempo di vita, senza proclami e senza particolari vocazioni. Ha deciso per la pasta perché si è sempre fatta in famiglia. Sua moglie ha origini a metà tra Reggio Emilia e Genova e così si è portata dietro quel po’ di sapere, continuando comunque a fare il proprio mestiere lontano da lì. Sergio ha impiegato buona parte della famiglia e ha imposto il suo vedere sulle cose. Al di là di qualunque conoscenza e di qualunque studio, le cose andavano fatte per bene, giorno per giorno. Le mani dovevano essere aiutate dalle macchine e il prodotto doveva tornare a quel gusto semplice, da uovo rotto e farina da battaglia, con quei ripieni che i macellai di Nizza avrebbero certamente aiutato a sublimare. E così è stato. Gli agnolotti di Sergio sono buoni perché della semplicità non hanno la conservazione, non si portano dietro antologie e nemmeno leggende. Non ci sono nonne dai mattarelli infarinati, almeno non lì e non nell’estetica del racconto. È la scelta di un prodotto territoriale la cui qualità passa spesso sotto silenzio e sotto ignoranza. I tovaglioli di lino dove servire i plin senza condimento sono il tempo religioso di una domenica rimasta domenica. Ora è tutto molto più pronto. La scelta deve essere istantanea. Così si preparano sughi, gastronomia pronta e si tollera qualche concessione al cromatismo della pasta. Ma tajarin, agnolotti e plin rimangono lì nella loro semplicità e Sergio Tonella, per cui il tempo della festa è il tempo del lavoro, insieme a quella famiglia ben applicata alla pratica del mestiere, ha deciso di servire la quotidianità di un prodotto che le massaie guardano ancora nella soddisfazione del fatto in casa, sfidando la pratica e l’assuefazione al riposo, in un luogo che sulla gastronomia casalinga potrebbe scrivere un’enciclopedia. La pasta fresca e ripiena è una pratica dell’immaginazione italiana. Conturbati dalle forme del tortello, la salivazione diventa incontrollabile e così obbediamo a una mistica. Quella della festa.
E ci sentiamo ghiotti…
L’ERCA DI TONELLA SERGIO
VIA CARLO ALBERTO 142
NIZZA MONFERRATO (AT)