Borno. Valle Camonica. Il fiume Oglio segna il passo, abbandonando il lago d’iseo, le incisioni rupestri rimangono nelle mani dei bambini e le industrie insistono sulla strada statale del Tonale e della Mendola, ricca di case cantonali, tetti spioventi e muri di pietra. Quando i rettilinei finiscono, i tornanti, che portano verso Borno, lasciano quella mezza montagna lombardo-orobica dai tratti alpini poco definiti, per riempirsi di abeti rossi e valli ampie verde chiaro e per gettarsi in un profondo altopiano. Il paese è un ricordo di una strada stretta, così, trovando un filo di diffidenza, percorro via Milano fino al suo culmine, al di sopra delle ubbie paesane e di un percorso sempre più stretto. Stradina di campagna breve e un frastuono d’acqua accoglie il mio arrivo. Fiume a sinistra, fonte a destra e vasche in mezzo. Biblico nel suo nitore e nel suo pudore. L’assenza di trivialità appare da subito dalle facce e dalle costruzioni. Qui, l’estetica, appena sotto il Lago di Lova, è ricercata nel legno, nella pianificazione forestale e nelle pietre dei torrenti. Il turismo è diafano e quasi scarno, la struttura delle vasche è un’attrattiva molto al di là del gusto. Qui, Gerry Fanti e sua sorella Stefania, hanno preso possesso di una speculazione e l’hanno trasformata in artigianato. Gerry, indole gentile e conciliante, occhi sempre un filo timidi, è un utopistico concreto.
Una decina di vasche in discesa, rumore dell’acqua corrente e un agriturismo in evoluzione. Stefania si occupa della cucina, Gerry dell’allevamento. Ex idraulico ed ex immobiliarista, ha comprato la suggestione di questo luogo in cambio di un’enoteca mai sbocciata, di una casa antica e di alcune bottiglie pregiate. In una permuta più o meno equa con uno dei più ricchi imprenditori della valle.
La sua idea iniziale: affidare in gestione il lavoro e prendere i profitti, continuando con la sua compra-vendita di case.
La sua idea iniziale è naufragata prima della pratica.
Gerry si è trasformato da venditore (pescatore per passione) ad allevatore e ha trovato una passione, nuovi idiomi e uno sguardo fisso, quello della follia. Ha deciso di mantenere la vendita molto al di qua del benessere. Salmerini, trote, temoli, trote marmorate (che Gerry sta cercando di recuperare come tipicità dell’arco alpino) e storioni. Anni di crescita a regimi alimentari controllati. All’inizio comprava e si occupava del finissaggio, attraverso un mangime regolare e un’acqua che non superasse mai i 13-14 gradi, ora ha deciso di partire dalle uova, domani ha in programma di avere i suoi riproduttori in modo che il pesce sia “suo” dalla nascita all’affumicatura, dopodomani, e qui diventa quasi eretico in questo paese di stilemi da pesce di lago al gusto di merda cartonata, vorrebbe passare al biologico, destinando gli escrementi dei pesci ad apposite vasche, concimando terreni di sua proprietà e producendo lombrichi da sostituire in parte all’attuale mangime dei pesci.
Et voilà, in un ambiente incontaminato e “dislivellato”, l’acquacoltura diventa paradosso di sincerità: ormai le trote, nei fiumi inquinati, annaspano nelle deiezioni chimiche. E così il cliente confuso… “il suo pesce ha un sapore diverso. Sa di pesce e non di fango…”. Critica o complimento?
Questa è l’unica questione da porre ai relativisti d’oggidì. Ormai si confonde tutto con tutto. Mtv, le agenzie di viaggio, le mete esotiche, la musica in camicia hawaiana, Ian Curtis e gli Editors nella stessa frase. Non c’è più un’assiologia. Rimane solo il principio di autorità e un mormorio confusivo dove il pesce “bisogna saperlo scegliere”, perché il pescivendolo “fotte” per definizione.
Perché poi si possono allevare le manze e non i pesci (eccezion fatta per l’ostricultura che fa sapore di mare, sapore di scoglio)? La caccia è la pesca, l’allevamento è l’allevamento. Una cosa conta: l’alimentazione. Il resto è paranoia da accrescimento invasivo. Nei polli come nelle trote. Gerry è un agriturista/agricolo che alleva, macella, spina, affumica, incarta, vende e propone in menù il suo pesce, quello in lizza per un futuro, tra il prossimo e il remoto, di ripopolazione di fiumi e torrenti (benessere!).
Le carni sono strepitose. Il salmerino, dopo quasi un anno in vasche a temperature ed alimentazione controllate, con un costante ricambio d’acqua e una “stabulazione” libera di tre volte superiore al normale allevamento alpino, viene macellato, salato manualmente a secco e affumicato tra rovere e truciolati vari, in maniera da esaltare il sapore del pesce. Gusto pieno, sapido, magro, carni bianche, spinatura perfetta e aroma lieve di acqua dolce. La trota iridea esprime al massimo il suo concetto di alimentazione. Ecco l’allevamento. Ecco l’allevatore. Fiume – nessuna contaminazione – pesca. Vasche – alimentazione – macello. Queste triadi hanno entrambe dei punti di forza e dei punti di debolezza. La prima è un sogno incontrollabile, la seconda è un dominio a rischio tirannide. Gerry ha provato, attraverso la seconda, ad avvicinarsi al paradigma della prima. E non è così distante. Solo una volta, grazie a Graziano Lozzer di Valfloriana, una trota selvatica appena pescata, mi aveva dato simili sensazioni. Nella sua versione salmonata (con aggiunta di betacarotene nella dieta…) esprime una carne soda, con gusti di pesce profondi, senza retrolfatti se non dell’affumicatura. Un prodotto unico, poco conosciuto. Una persona unica, ancora meno conosciuta.
Allevamento, filettatura, salatura, marinatura e affumicatura. Poche e semplici regole. Gerry ha un’umiltà che mi chiedo come riuscisse a piazzare case, non è un artigiano ma sta studiando da artigiano, ha un modello agrituristico da seguire, quello di Gualberto Martini e di sua moglie Emma, non è un produttore ma sta studiando da allevatore. È un uomo a metà strada con in mano un prodotto unico. Un po’ di comunicazione, un po’ di patina e ancora più burqa. Ecco quello che manca. Miscellanea perfetta per una valle che, più di altre, ha bisogno di sapidità ed equilibrio, di sapori e di parole…
AGROITTICA SAN FIORINO
VIA MILANO 46
BORNO (BS)