Portare qualità in mezzo ai boschi… Vittorio e Sonia Squaranti

Bosco Chiesanuova, amministrativamente. Cerro Veronese, geograficamente. Il resto è una strada che collega due paesi, pochi kilometri di distanza e un incontro inaspettato.

L’anticipo è sempre foriero di imprevisti. Così da una malga troppo lontana da raggiungere, da una voglia di formaggio, da un deserto fatto di vista, abeti, altopiani e vette abbassate in quella mezza montagna chiamata Lessinia e definibile in un’identità silenziosa, poco turistica, quasi solitaria, di una solitudine trovata più che scelta, quasi connaturata ad una personalità distante e definita dalle tradizioni, mi ritrovo, per merito di due passeggianti anziani incontrati per strada, alla corte di Flavia e della sua Terra Cimbra. Così, per caso, quasi per scherzo, con la protervia cittadina verso il prodotto tipico, mi addentro, incontro un paio di perle che mi stupiscono e mi getto tra le braccia di Flavia Pezzo (abete rosso nell’etimologia cimbra-tedesca di cui è più che fiera portatrice…), una negoziante come non ne hanno mai fatte. Un entusiasmo che, a queste latitudini, fa pensare all’enfasi della vendita piuttosto che alla sincerità. Invece, lei, rigorosamente bardata in abiti tipici, è qualcosa di travolgente: nella vendita, nella passione, nella conoscenza, nel rispetto, finanche nella comunicazione. Qualcosa di raro, una cuoca, artigiana e commerciante, in una figura prorompente e virile. Senza prescindere dalla mia mal sopportazione verso il venditore, mi meraviglio nella stima, soprattutto quando, dopo mezz’ora di conoscenza, mi trovo sua figlia (“una biondazza di tredici anni” cit.) in macchina per condurla e farmi condurre alla mia metà reale.

Poche curve, un paio di circostanze et voilà, lascio la macchina nel più anonimo dei parcheggi a lato dell’unica strada che taglia, con una vista che mozza il fiato se ne avessi ancora uno dopo lo stupore.

Araldo Arte del Gusto. Nome altisonante, persone soddisfatte e recensioni positive. L’interno è contemporaneo e sonnacchioso allo stesso tempo. Quel legno sulle panche e alle pareti non nasconde il proprio orgoglio di trovarsi in mezzo al nulla, affiancati dai più soliti vendi-cibo da un tanto al kilo, su quel passaggio che non lascia impressioni se non nell’accento, forte e montanaro.

Mi accoglie Vittorio, un uomo senza mezze misure. Si è trovato, con una scelta audace quanto geniale, in mezzo al principio della gastronomia, quello della soddisfazione. Abbandonati il bisogno e la sopravvivenza, è entrato nel mondo dei grandi, quelli che sembrano irragiungibili, quelli che non basta più il lievito madre o le farine selezionate, perchè la loro ricerca è sempre molto oltre il tuo risveglio. È lì, ma non rincorre. Ha delle certezze che è pronto ad abbandonare nel momento del cedimento. Il racconto parte da lontano. Lui e sua moglie, compagni in una mediocre pizzeria lì accanto, decidono di tentare. Lievito di birra, lunga lievitazione e digeribilità. La partenza è la stessa di molti che ci provano. I prezzi fanno concorrenza a una media pizzeria di Alessandria d’Egitto. Mulino Quaglia e università della pizza. Patina, connessioni e conoscenza di un mondo di lievitisti tanto bravi quanto assuefatti. I migliori, con poche eccezioni, chiudono i conti in positivo grazie alla consulenza… Vittorio, nel suo disinteresse, inizia a capire che quell’altro (il lievito madre…) deve essere l’unico. Morandin, Padoan e Massari sono la stima, ma la conservazione è qualcosa di personale. Niente acidità (difetto per fortuna), niente acqua e niente lacci, appena rinfrescato strappa un filo oltre, ma i profumi sono corretti. Pizza a lievitazione naturale (margherita a 4,50 euro… si può far cultura col prezzo dell’asporto… è quasi imbarazzante il confronto…), in settimana degustazioni più mirate con clientela adeguata all’interrogativo, il weekend la massa incontrollabile di coperti, anziani in gita, ragazzini col cappello sulle spalle, coppiette in attesa romantica, mano nella mano, di una pizza da scambiarsi, e personalità dalla brillantina sugli occhi, la fa da padrone. Spariscono le pizze “speciali” e rimangono i grandi classici. Fine prima parte… senza giudizi…

… inizio seconda… pochi anni fa decisione di affiancare la gelateria, anzi un piano dedicato a gelato, dolci, tè e tisane. Sonia dirime l’estetica verso la facilità, così nel servizio come nel gusto. Naturalità, trittico Bravo, sedicenti consulenti e pubblico in visibilio. Ecco la sinossi di un viaggio.

… proviamo con qualche avventatezza e qualche giudizio, visto che il mio predellino è stato consumato. Il gelato ha una buona struttura, non si rompe ed è omogeneo. Questa è la base e non è poco. Non ci fosse stato il “consulentone” a proporre il proprio neutro da lingua felpata, sarebbero ancora più avanti. Ma su carruba, guar e destrosio si può iniziare a ragionare per creare una seconda via. Le materie prime sono contradditorie (meno nella testa di Vittorio ma lì è solo questione di tempo…): il latte è assolutamente strepitoso (non m’inoltro nella genesi perchè contravverei al principio di fiducia…), giornaliero, fiorito. Il fior di latte, se partisse da meno acidità di base, sarebbe quasi perfetto. Gli altri gusti sono un po’ in maschera: il limone che diventa lime, la fragola che diventa limone, il pistacchio che manca un filo di onestà (tipicità delle aziende produttrici… tranquillamente curabile…). La ricerca deve ancora partire, c’è bisogno di tempo, di fiducia e di meno mentitori. Il gelato è un connubio di elementi, non basta la naturalità…

… la parte dolente è quasi finita…

… capitolo pizza: tralasciando le migliorie sui grissini, sulla ritualità del pane a tavola e sulla clientela media (quisquilie), provo ancora a consumare legno. Primo assaggio: focaccia estremamente lievitata, poco idratata, un filo “spezzata”, farine biologiche del Mulino Rosso (su cui devo ricredermi…), salsa di pomodoro (perfetta) e mozzarella (ottima in connubio). Morso lungo, soffice e aereo. Le alveolature non si sentono (ricordano un filo l’idea di Roberto Ghisolfi). La cottura è duplice ma senza controllo su tutta la filiera della pasta che rimane un filo collosa. Il prodotto finale è ottimo già così. Pizza con salame, preparato per il locale dal padre di un dipendente (unico a poter fare a meno dei nitriti: agliato, concia con note di chiodo di garofano, eccezionale), aceto balsamico, cipolla di Tropea e Monte Veronese in cottura. È la più classica delle pizze a lievitazione naturale che ricordi. Buoni contrasti (manca un filo di acidità), pasta profumata, poco alveolata, assolutamente masticabile. In parole opulente, buona.

Sonia e Vittorio dirimono le controversie della qualità nella quantità, vezzeggiano il cliente con dolci e creazioni sconosciute in quelle lande. Rivalutano il territorio, portando un cibo che fa pensare oltre che immaginare. Già per questo andrebbero gratificati. Però c’è più di un però. Forse una fantomatica scintilla, forse una voglia di riconoscenza, forse un’assoluta mancanza di presunzione (e lo si vede nelle critiche al gusto dove non vengono mai nascoste le intenzioni d’essere…), ma lì, tra Cerro Veronese e Bosco Chiesanuova, c’è un fermento laido e magniloquente, qualcosa che ha delle radici… innaffiarle! è l’unico imperativo…

 

ARALDO ARTE DEL GUSTO

CONTRADA CARCERERI 22

BOSCO CHIESANUOVA (VR)

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