Ribera. Profondo sud. Dove non si muovono le foglie e dove la politica ha rappreso gli animi e gli intelletti. Superata la zona dei resort per impupati belletti salubri, un filo modaioli e idiosincratici al dispendio intellettivo, si prende un bivio che porta verso l’interno. Da qui, si alternano quei paesi, già apparsi tra queste righe, che dedicano la propria istanza e la propria vocazione ad un prodotto tipico. Pistacchi, pesche, formaggi e arance. Quelle bionde, quelle che popolano, in maniera proditoria, i mercati di mezz’Italia.
Torno indietro, perché Ribera è un tipico “paesazzo” siciliano dove s’innalzano monumenti al cemento e da cui la meraviglia degli agrumeti rimane a distanza di sicurezza. Ritorno verso il famoso bivio e incontro Paolo. Una voce al telefono, una persona dal vivo. L’aspettativa creata viene stravolta. Il tono mi aveva portato verso una deferenza garbata e un po’ antica, la persona, invece, si mostra, da subito, intraprendente nella facilità delle relazioni.
Del capannone si può dire di tutto, non che sia fascinoso. Gli aranceti lo salvano dalla scelleratezza, togliendolo dal proscenio. Le zagare non ci sono, i frutti sono o alla fine o all’inizio, le foglie non rilasciano la fragranza di un’immagine di fiori bianchi e frutti arancioni. Ma il primo impatto è con delle bucce che stanno essiccando al sole. Pectina e oli essenziali. Mi guarda impettito e orgoglioso, tirando fuori dalla macchina un piccolo barattolo di vetro. Fior di sale delle saline di Trapani, aromatizzato con le sue arance. È un unicum. Per ora siamo ai tarocchi (non le arance ndr…) e agli esperimenti. Le domande e il marketing sono alla ricerca di un canale e del contenitore adatto. Paolo non vuole mancare la comunicazione. Ormai è tutto lì. Soprattutto nelle infiocchettate boutique del gusto milanesi, dove il packaging è l’unica religione ancora al passo coi tempi. Il sale è interdetto nei simposi gourmet. Si abbozza, peggio che sul caffè.
Quindi meglio affidarsi. Magari al macellaio di fiducia che, nella lavorazione della salsiccia, può sostituire concia e sapidità con questo fior di sale. Novità e meraviglia… solo così si possono scardinare i dogmi.
Estate non è periodo di arance. Ma non del tutto. Paolo sfodera una cassetta di arance vaniglia e inizia a spremere. Il suo spremiagrumi è l’altra faccia del carretto siciliano o di quello dei gelati. Paolo lo indossa e si fa accompagnare. Ricevimenti, banchetti, hotel di lusso, clienti giapponesi in loop da spremuta. Questa è la costola del suo pensiero e della sua azione. Almeno quanto le sue cassette.
Un giorno (inizio anni ’90) stufo di sentir speculare sulle arance di Ribera, invia un fax alla Rai. Ecco la prima ospitata. Da lì è prezzemolo un po’ ovunque. Finanche in Senato, dove gli onorevoli catanesi non prendono benissimo l’assenza del tarocco di Paternò. Ma Paolo non demorde. Passa attraverso le più becere delle sceneggiate e i vip più aberranti. Realizza il sogno di crerare un menù completo a base di agrumi. Sovraintende alla nascita di un libro di ricette e collabora con noti chef siciliani… risultato… i suoi concittadini s’ingelosiscono… ancorchè alcuni di loro, proprio grazie a Paolo, riescono ad ottenere lavori e contratti… buttano tutto in politica, ostracizzandolo… lui non riesce a mettersi alle spalle l’ipocrisia. Rimane un’anima paesana, legata al territorio, alla virulenza delle sue leggi basate sui voti e sui favori, e soprattutto all’etichetta di una fama o di un programma a premi.
È diviso tra il fare (coltivazione biologica di arance Washington Navel e vaniglia: bassissima acidità, prive di semi, tessitura grossolana e straordinarie sia alla fragranza, sia negli aromi) e lo strafare (interesse quasi compulsivo verso il simulacro della sua professione.
Un contadino Cavaliere del lavoro che non riesce ad estraniarsi dalla volgarità per gettarsi nella bellezza…). Le facce triviali di mezzi falliti e mezze veline che campeggiano tra le arance ne sono la dimostrazione più solenne…
… ogni tanto l’intelletto si nasconde, ma ogni tanto approfitta delle conoscenze per creare una lingua comune, estremamente artigianale. Così…
… sempre nella poco ridente Ribera. Pochi kilometri più sopra. Cancellata in ruggine e porta in afasia emotiva. All’interno ci accoglie Gianfranco Falletta. Il Trasformatore.
Arance bionde (di Paolo ovviamente…), rosse, gelsi neri (che più che una marmellata sembrano rifinire una gelatina, compatta, orrorifica e montuosa… eccezionale), susine (una volta quelle di Marilù Monte…), fragoline, cedri (straordinaria marmellata… con le bucce ad aromatizzare qualcosa di unico…), mandarini, limoni, ecc… con alcune fantasie e accoppiamenti che mi persuadono il giusto. Poca pectina naturale, zucchero o zucchero di canna in biologico.
Paolo ride soddisfatto, Giancarlo mi mostra i pentoloni e la cucina dove due signore del paese attualizzano l’origine…
… dissolvenza in nero su una mattinata afosa e gentile…
LE ARANCE DI PAOLO GANDUSCIO
VIA OSPEDALE CORTILE C 6
RIBERA (AG)