Quando le mogli comunicano il genio. Sebastiano Agostino Ninone

Mirto. Piccolo comune del Parco dei Nebrodi. Agosto. Macelleria Agostino. L’antitesi della macelleria tipica di questa parte di Sicilia. Amore per il bello. Maioliche. Una “tipica” affettatrice Berkel. Pulizia. Mi viene incontro Sebastiano, il titolare. Schivo. Laconico. Poche parole. Con una vocina esile non riesce a spiegarmi quello che dicono i suoi occhi. Grandezza. Mi passa letteralmente alla moglie. Ricominciando a tagliare costolette di maiale, è come se tirasse un sospiro di sollievo.
Fosse stato per lui, probabilmente, la tradizione si sarebbe persa. La difficoltà era quella di riadattare, modernizzare e tramandare, cercando di evitare due ostacoli enormi: il tradimento e la traduzione del verbo originario.
Per questo, la presenza di Luisa, sua moglie, è stata fondamentale.
Il marito è un grande macellaio, la cognata una grande norcina. Lei è quel contesto, così importante ai fini del racconto, della storia, del testo e della stessa tradizione, che ha permesso, per l’ennesima volta, la mostrazione della Bellezza.
Sentirla appassionarsi di passioni altrui, traslate sotto forma di una grande conoscenza istintiva e intellettuale, è stato qualcosa a metà strada tra il fascinoso e l’ipnotico. E mentre tagliava salsicce, capocolli, salami, prosciutti e pecorini, ho sentito, nitidamente, il sapore icastico della terra.
I prodotti sono molti. Stranamente prescindo dall’analisi dei formaggi (i Ninone fanno parte del Presidio Slow Food, contro cui mi schiero apertamente non vedendo un reale rischio di estinzione, della Provola dei Nebrodi), eccetto che per un pecorino, leggermente stagionato e pepato, da capogiro. Un controllo della salatura (così complesso, concettualmente e praticamente, per la maggior parte dei casari siciliani) perfetto. Quel sapore di pecora che prolunga il proprio gusto nei ricordi e non nelle celle di stagionatura.
Mi dedico principalmente (ma ho già avuto la fortuna di averli ricevuti in dono da amici, direttamente a Milano) alla carne e ai salumi. A quel Maialino Nero dei Nebrodi (razza autoctona locale che viene nutrita direttamente dall’allevatore solamente nei mesi invernali, quando la neve ricopre il sottobosco, mentre viene lasciata allo stato brado (a differenza, per esempio, di un Pata Negra) e libera di nutrirsi, nei restanti mesi dell’anno), a sua volta Presidio Slow Food (stavolta centrato), diviso equamente tra la norcineria e la macelleria.

 – Involtini ripieni con cinque presidi slow food [pistacchio di Bronte, Ragusano (qui, però, devo correggere Luisa perchè il ragusano che loro utilizzano non è quello di Floridia, cioè di Vacca Modicana, ma un eccellente Ragusano Dop, probabilmente affinato da Di Pasquale…), Provola dei Nebrodi, Olio di Minuta messinese e Suino dei Nebrodi]:  aroma intenso di pistacchio. Cotti sulla brace, sono favolosi. Fatti in altre maniere, possono risultare troppo pesanti, a causa delle molte sostanze oleose contenute all’interno.

  – Costolette di maialino nero: superbe. Nulla da aggiungere

  – Prosciutto crudo: il motivo che mi ha realmente spinto fin lì. Unicità, Storia, Difficoltà di macellazione (piccole dimensioni di un animale composto per il 70 per cento da grassi molto ricchi di acidi polinsaturi), Armonia della forma (… che ricorda un violino),  Bontà (assertoria, obnubilante e fanciullesca). Ricordi di merenda.

  – Il salame e la salsiccia: Assoluti. Divisione perfetta tra carne e grasso (dovuta ai continui massaggi che subiscono gli animali), gusto aromatizzato dall’utilizzo di spezie e finocchietto selvatico, sapore in bocca di purissima carne di suino. Irripetibili

  – Capocollo: bellissimo (protetto da particolari stecche di legno), con una composizione visiva in cui grasso e carne si sposano pefettamente all’interno del salume senza residui sulle superfici esterne. Gusto: soave. Mi ha letteralmente fatto strabuzzare gli occhi.

La famiglia Ninone mi ha permesso di sorprendere, sotto una nuova luce, una possibilità virtuosa della nozione di fama (da loro giustamente raggiunta): un modo per eliminare quella necessità, potenzialmente foriera di ambizione, invidia e corrosione, di definirsi nei confronti del mondo. La riconoscenza, la notorietà, i premi vinti e il consenso dei grandi chef mi sono sembrati (ma non dovrebbe essere sempre così?) il raggiungimento della serenità e non della gloria. Quella stessa serenità che, non costringendo più all’affermazione di sè, pemette di mostrare al mondo una prospettiva unica sulla Bellezza. La sua traccia…

MACELLERIA AGOSTINO
VIA S. ROCCO, 15
MIRTO (ME)

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