Pezzolo Valle Uzzone, alle porte di Cortemilia. Paesi in decadenza, abbandono e selvatico come forme più che umorali di zone ormai vinte. Qui l’inquinamento si è portato via i vigneti, la crisi le aziende, e il tempo ha lasciato noccioleti, famiglie in disarmo e un florilegio di negozi vuoti. Questa Langa povera ha un mistero senza luogo, di un’avvenenza decadente, che non lascia per strada ville o possibilità di speculazione. Qui, in mezzo a questi boschi di funghi, tartufi e noccioli, dove il dissepolto è una forma urbana di umanità, fare l’artigiano è una missione senza agio. Pena la sparizione. Qui, o fai bene, o non sei. E così chi resiste, chi si protrae nel tempo, procrastinando negli anni la propria fine, è costretto a lavorare bene il territorio, senza frodi e senza assoluzioni. La nocciola, al di là di sgusciatori, approfittatori, venditori di torte alla margarina e industrie dissolute, è una religione che non concede nessuna distrazione. Si scruta il cielo, si spera, si guardano le piante crescere e si subiscono le ondulazioni del famigerato mercato globale. Una nevicata in Turchia cambia tutto. E così lavorarsi il proprio frutto è qualcosa di privato, intimo e assolutamente colloquiale.
Carlo Minetto è stato enologo alla cantina di Santo Stefano Belbo, è entrato a far parte della Confraternita della Nocciola, è andato in pensione e ha trasformato la sua passione in qualcosa di più certificato.
Il caso l’ha portato verso il torrone. La sua famiglia ha un pedigree agricolo. Suo padre, tra le altre cose, allevava maiali per un macellaio del posto, che il tempo libero autunnale lo passava producendo un torrone casalingo. E così Carlo ha deciso di farlo venire a casa per imparare.
Anni di produzioni tra le mura domestiche e per amici fidati, confratelli e qualche appassionato. Una ricetta basica che nel tempo si è svuotata, lasciando solo albume, nocciole, zucchero, miele di acacia e ostia alimentare. Lasciando perdere torroniere e rame, Carlo ha deciso di costruirsi la sua macchina per fare la sua produzione. Laboratorio piccolo ma lindo, pochi macchinari precisi per un unico prodotto. Torrone friabile, nocciola preponderante e zucchero da raffinare meglio. Un buon prodotto da rifinire.
Perché qui il il giudizio è vittima di quei rami d’albero che entrano quasi dentro la finestra, di quei noccioli di quarant’anni che sostengono la collina uggiosa, di quei frutti che vengono lavorati da Benvenuto a Cortemilia e di quel tempo blando che Carlo ha deciso di dedicare al torrone, probabilmente l’unico, a mia conoscenza, totalmente di filiera (tralascio volentieri i Ceretto).
E qui il rischio che rimanga un’eccezione destinata alla sparizione arriva tra le righe inespresse. Qui si è trasformata la Tonda Gentile Trilobata delle Langhe in Nocciola Piemonte Igp, includendo la pianura e cambiando la destinazione d’uso, si è guardato alla cultivar e si è pensato bene, o qualche grossa azienda ha pensato bene, di procedere al riconoscimento della varietà langhetta come fosse un Cabernet o un Pinot. Gli stessi interessati a questo tipo di denominazione, potrebbero così portarla in Sud America o in Turchia, iniziando a coltivare la nocciola Tonda Gentile di Langa tra le Ande e il Mar Nero. Evviva!
Fuori da schemi e indicazioni, Carlo ha piantumato altri due ettari di noccioleto che andranno in produzione tra qualche anno, per il futuro di qualche erede che vedrà questi luoghi ancora come una terra d’elezione. Qui non c’è molto da inventare, basta sedersi e farsi venire un’idea. Questa Langa povera è terra di artigiani che si sono inventati e reinventati. E Carlo Minetto è uno di loro…
TORRONE CARLO MINETTO
REGIONE CASTAGNITO 2
PEZZOLO VALLE UZZONE (CN)