Sarcastici salumi di pianura… Sandro Passerini

Hay bales on the field

Robecchetto con Induno ma potrebbe essere anche Cuggiono oppure “dove esistono ancora le cascine” o ancora “dove esistevano ancora le cascine”. L’antropizzazione non recede, così come l’asfalto. Le strade sterrate, percepite come un fastidio, sono ancora la salvezza di questi luoghi, così come le confusioni dei navigatori satellitari. Le autostrade sono vicine ma non si sentono. Il Ticino e il Naviglio hanno creato una campagna, con le sue coltivazioni e le sue aziende agricole. Qui, si nascondono alcuni produttori che avrebbero qualcosa da mostrare se non fossero troppo dediti al mutismo contiguo. Le facce sono annoiate e autarchiche, la comunicazione è già una fatica, così molti hanno visto nella famiglia Passerini il tramite ideale per i propri cereali, per le proprie carni o per le proprie conserve. Cascina Cirenaica è un luogo che ha provato a far da sé. Dalla semente al prosciutto cotto, tutto passa attraverso quattro fratelli (due in azienda), qualche nipote, qualche norcino e poco altro.

Il signor Passerini ha lasciato l’azienda ai figli negli anni ’90. Aveva già fatto il passaggio da vacche da latte a suini qualche anno prima. Da un giorno a quell’altro la conversione è stata una necessità economica. Sandro e suo fratello Gianpiero hanno diminuito le dimensioni dell’allevamento, puntando sul benessere animale. Le porcilaie non si sono trasformate in boschi, ma questa pianura si porta sempre dietro i retaggi del profitto. Si è messa a punto un’alimentazione coerente, legumi proteici, cereali e poco altro. Le storiche sementi locali sono state mantenute e ampliate: sorgo rosso, a metà tra gli echi rurali cinesi di Zhang Yimou e le storie di Sandro che ricorda la nonna trasformatrice di torte surrogate, meno costoso e più dolce del frumento, mais Scagliolo, meno produttivo del Marano ma con quel non so che di autenticità che fa dimenticare la provenienza di tutto il mais italiano, grano tenero, orzo mondo, riso e il recupero di un meleto con delle prove di “sidrificazione”… Sandro Passerini ha cercato di creare un’azienda dove il ciclo avesse pochi spiragli, ben scelti e ben punteggiati da aziende agricole vicine che hanno dato vita ad un’eccezione autarchica.

A tutto ciò ha aggiunto l’allevamento della vacca Varzese, o Ottonese o Tortonese. Una vacca di montagna, portata in pianura. Triplice attitudine, poco latte, pochissimi allevatori che fanno un formaggio in purezza (Lino Verardo ci prova, ma lo mischia con il latte di Cabannina) e una necessità di Slow Food (con cattiva pace, per esempio, di Eugenio Barbieri, allevatore-ingegnere-comunicatore dall’attitudine serafica….) di portare la razza in pianura, di farla diventare un presidio, di trovare riproduttori, di trovare allevamenti, allevatori e trasformatori. Per ora il lumicino della riproduzione, lascia quattro vacche in azienda. Tre in mezzo al fieno e una appena macellata.

Girello di spalla. Brasato nella birra. Tenuta fuori dal comune in cottura. Grasso tenero, carne frollata bene, struttura fibrosa, sapore molto intenso, poco marezzata, la carne ha una sapidità interna estremamente accentuata. Il sale deve essere controllatissimo.

Il salame di bovino, con inserti di pancetta suina, stagionato bene, senza starter, senza acceleratori di stagionatura, è un prodotto rifinito, raro, con un senso gustativo che non si blocca nel solito grasso. Qui Sandro deve insistere di più. Sulla leggenda autoctona, sul pascolo e magari anche sulla montagna. La visione, per ora, è uno spiraglio.

I maiali in porcilaia sono un insieme. L’industrialità è lontana così come la libertà. Ma il cliente ha dei gusti talmente definiti da doverlo accontentare. Macello interno (tra i sette e i venti maiali a settimana), stanza di lavorazione delle carni, norcineria, asciugatura, stagionatura e bottega. Un nitore e un controllo fuori dal comune. Cotechini, mortadelle di fegato e sanguinacci (c’è ancora qualcuno in Lombardia che lavora il sangue delle proprie bestie) con una salatura raffinata. In cottura non rilasciano nulla né si contraggono. I sapori escono nitidi, estremamente puliti nonostante le precauzione imposte dall’alta e quelle dettate dal basso. Il salame è una scelta di stagionatura e così sospendo il giudizio in un “è il poco tempo che si mangia il tempo”. Il prosciutto crudo (stagionato da Dionigi Spreafico, Marco d’Oggiono, che nel miracolo dell’insipienza dei suoi prodotti, ha tirato fuori qualcosa di interessante), ventidue mesi di stagionatura che gli tolgono dolcezza e freschezza, è quotidiano ma fatto bene, il cotto a la maison ha i colori della quasi ossidazione e i sapori del maiale, così come il lonzino e gli arrosti. Prodotti di una semplicità contadina, rimasti di una semplicità contadina. Con poche contraddizioni, senza fieno e senza cemento. Sarcastici nella loro ambiguità.

Sandro, “se avesse una comunicazione, avrebbe quella che ha” (cit.), un’ironia spenta che non si prende troppo sul serio, che non dà troppo lustro per non cadere da troppo in alto. Polvere e nuvole sono equidistanti più per desiderio che per necessità. È un artigiano che ha imparato a fare la sua professione nel corso degli anni. I tempi sono dilatati dal tempo e dall’assenza di fretta. Di apparire e di definirsi nei confronti del mondo. Nonostante il verosimile, di tutto questo processo arriva troppo poco perché la pianura padana è sempre più le sue aziende agricole che i suoi trasformatori. E così, la povertà è diventata comunità e nascondimento…

 

AZIENDA AGRICOLA CIRENAICA

C.NA CIRENAICA 1

ROBECCHETTO CON INDUNO (MI)

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *