La Morra. Piccolo e fortunato paese abbarbicato sulla bassa Langa. Tra Alba e Bra. Con quella vista che ti fa trascurare le preoccupazioni e quel modo di fare dimentico del fervore gastronomico che sta girando tutt’intorno.
Noccioleti e vigneti. Barolo. Un nome che incute timore, che riporta certezze e che parla dell’Italia come forse nessun altro prodotto.
Sulla destra della strada principale si incontra il Mulino Sobrino. Ci accoglie il fratello di Renzo (instancabile lavoratore e disinteressato a tutto ciò che non ruoti intorno alle sue macine e ai suoi cereali) che, superata una timidezza iniziale, data probabilmente da una lieve idiosincrasia verso l’invadenza, si lascia andare alla passione, soffrendo per un comportamento fuori dalla quotidianità e, nello stesso tempo, mostrando una conoscenza, una serietà, ma soprattuto una generosità verso i “suoi” strumenti di lavoro, empatica ed esaltante.
Poi arriva Renzo. Mi faccio introdurre da una definizione di lui che mi ha dato Eugenio Pol, ma non lo scalfisco. Guarda l’orologio. Ha fretta. Sono le sei di sera ed è già in ritardo per una consegna. Mi dice che può dedicarmi cinque minuti. Le scuse non sono la prima cosa che gli passano per la testa, ma le utilizza lo stesso in maniera impacciata. Io non faccio rimostranze. Gli faccio un paio di domande sotto la forma del perchè. Lui smette di guardare l’orologio e ci porta all’interno del “suo” Mulino.
Il passato che non si rinnova e non si attualizza è uno dei migliori viatici verso la fascinazione. S’invera facilmente nell’animo umano, passa attraverso il pensiero di un ricordo che non c’è mai stato, di un tempo vissuto da qualcun altro e da un’altra storia che è passata attraverso quelle usanze e quelle esperienze, e non è difficile ricondurlo a frasi come “peccato!” “io non capisco”, “che spreco”. Quel fascino, così affascinante, non lascia requie alla nostra lamentela verso l’attuale.
Il mulino Sobrino, invece, mantenendo un intimo legame con il presente, non mi affascina, a tal punto da non rimanerne stupito. Salgo sulle macine in pietra come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se le incontrassi tutti i giorni e come se le conoscessi da una vita.
Mentre mi aggiro, abbandono a tratti la comunicazione e mi lascio andare ai “miei” ricordi. Mi torna in bocca il sapore di alcuni prodotti (provati in altre ramificazioni dei miei viaggi…), così diversi, sinceri e necessari, creati a partire dalle farine Sobrino.
Mi acquieto… e penso… non poteva che essere così. Avevano ragione loro…
Quando rinvengo, mi accorgo di come Renzo stia parlando del recupero di antiche qualità di grani o di mais, ormai scomparse o rare. Dal monococco (che ha una storia unica. Infatti, dopo essere stato ritrovato nello stomaco di Oetzi ed analizzato, si è notato come il dna non sia mutato nel corso dei millenni, mantenendo un’ortodossia originaria e una carica proteica unica… ottimo e povero surrogato della carne), al grano saraceno (che dovrebbe essere una prerogativa della zona di Teglio, Valtellina, dove pare, però, esserne rimasto solo un campo, peraltro coltivato da Slow Food. Tutto ciò per tre mulini che chiaramente devono macinare. Ucraina, Turchia, Polonia, Bielorussia…. il più classico dei Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto…), che suoi agricoltori di fiducia coltivano in maniera biologica, rispettando la biodinamicità della luna e delle stagioni, alternando l’erba medica (per almeno due anni) ai grani (così da purificare nella totalità il terreno) e cambiando periodicamente le colture. Nessun enzima, né acidificante, né antifungini, né addensanti.
Questo anacronistico mugnaio lavora per sottrazione, togliendo quelle sovrastrutture così rassicuranti, uniformi e ripetitive che la società contemporanea garantisce attraverso controlli, prodotti chimici e interessi economici, per dare, o per lasciare, quel gusto unico e quell’essere grezzo di qualcosa che la terra non regala ma pretende.
La molitura a pietra gli permette di mantenere intatte le qualità organolettiche e di risaltare le caratteristiche originarie dei cereali: grano tenero, di tipo zero e di tipo due, avena, segale, Senatore Cappelli, castagne e riso.
E poi c’è la farina di mais di Dente di Cavallo Bianco di Denis Montanar (piccolo produttore friulano che pare faccia anche un vino bianco strepitoso…) che è l’unica a cui Renzo concede il vezzo della nomenclatura…
E infine c’è la polenta…
Il primo assaggio mi ha riportato indietro nel tempo. Non a quando ero un bambino e mangiavo prodotti più sani e nemmeno dentro un passato conosciuto, fatto di baite di montagna e nevicate copiose e acide, ma verso l’origine del gusto, a qualcosa che riguarda anni di ingiuriose definizioni e risposte mancate per una conoscenza latente. Renzo mi ha mostrato l’anima di un popolo. Il suo bisogno, in anni di carestie e guerre, e il suo orgoglio.
Tre mais autoctoni: l’Ottofile, tipico langarolo, il Pignoletto, che prende il nome dal caratteristico chicco a forma di pigna, e il Marano, antica qualità veneta. Grezza, giallo ocra con consistenza granulosa e un sapore vegetale e terroso. Straordinaria.
Rispettosa ed empatica lentezza, capacità di stravolgere un programma in nome di una passione insolita, grembiule in bella vista intriso di farina, capelli bohemien con occhiali da intellettuale, comunicatore garbato, Renzo ha quella capacità di non lasciarsi sopraffare dall’incuria contemporanea, di mantenere intatta quella sua voglia di non cedere a una critica gastronomica poco attenta, ignorante ed assente (pare che Massobrio, che ne scrive con dovizia di particolari, non si sia mai presentato a magione…) e di legare indissolubilmente le persone che l’hanno conosciuto, lo conoscono e lo conosceranno. Di farle venire e di farle tornare..
Il ciclo di lavorazione è il ciclo delle persone e vanno entrambi di pari passo secondo i suoi desiderata. Se vuole venderti il ritorno, non puoi fare a meno di comprarlo…
D’altronde alla domanda “la prossima volta restate a dormire (ha costruito anche un bed and breakfast ndr…)? così la mattina assaggiate i nostri croissant fatti con le nostrefarine…” cosa rispondereste?
IL MULINO SOBRINO
VIA ROMA, 108
LA MORRA (CN)