Collecchio. In mezzo tra il Taro e i boschi di Carrega, in quella provincia parmense che si è dedicata in egual maniera ad industrializzazione e agricoltura, arrivando nell’empireo, sprofondando nel trinciato e riprendendosi in maniera dignitosa grazie alle facce degli astanti, di quelli che erano rimasti lì a guardare il progresso di una tradizione, tra facciate color pastello e piazze copiose di buone maniere, ritualità e chiacchiere. La provincia rubiconda, quella ingrassata dai silenzi e sempre più sanguigna verso il prossimo di passaggio, è stata l’ambiente ideale per la nascita di artigianalità uniche, di quel fazzoletto di terra riconosciuto nel mondo come paese del bengodi, dove vacche e maiali danno indietro il massimo del gusto raggiungibile. Collecchio ha una struttura romana deturpata e delle campagne che, senza mezzi termini, sono state portate a fondo nella scoperta e nello sfruttamento. Lì, a pochi metri dall’autostrada e dalla Parmalat, la famiglia Gennari ha creato una genealogia produttiva, rara anche da queste parti.
Era un 31 dicembre tra la fine dei ’40 e l’inizio dei ’50, uno di quei 31 dicembre dove si decidevano i nuovi incarichi, dove i casari andavano alla ricerca dei caseifici per incominciare l’anno con la munta della sera per far la prima forma la mattina di capodanno. Era un 31 dicembre e i coniugi Gennari decisero che o quel giorno o mai più. Si sposarono senza viaggio di nozze, la sera era già raccolta del latte e la mattina nuovo caseificio. Da lì a poco, era il 1953, Sergio e Maria decisero di rilevare un caseificio che sarebbe diventato il loro. Dalle tre forme di allora alle oltre 40 contemporanee. Quasi 90 mila quintali di latte lavorato al giorno, metà circa di propria produzione e metà acquistato da stalle del territorio che lavorano con loro da decenni. Millecinquecento bovini e oltre seicento in lattazione. Fieni autoprodotti, frisone storiche con cui si è sempre prodotto il Parmigiano classico e le Brune Alpine con cui da pochi anni si è deciso per un cru più grasso e più proteico, che possa durare meglio nella stagionatura, che abbia granulosità ma che non perda cremosità, che nei 24 mesi raggiunga una morbidezza bisognosa di tempo ma con basi solide. E così da antesignani delle lunghissime stagionature, i Gennari non possono sottrarsi a quella strada che nella pinguedine del proprio formaggio vede un percorso per creare le mitologie degli 8, 10 e 14 anni.
Il grasso piace ed è ingordo. Nei 36 mesi ha una dolcezza difficile in altre forme. È come se fosse di più e di meno di un Parmigiano, con croste, unghie e strutture assolutamente poco speculari e rare. Ha caratteristiche alpine, veramente strane. E così l’Oro Nero, piccola forma a latte intero, nove mesi di affinamento e pasta semi-dura, è una creazione quotidiana che Paolo, estremo lembo della stagionatura e della caseificazione di famiglia (perché dai Gennari anche quella è fatta in casa), presenta senza enfasi, come formaggio da aperitivo o da tavola, e che, a ragion veduta, sarebbe un luogo perfetto per ludiche perversioni tra grotte e fosse. La struttura di un pecorino vaccino che riporta sotto terra più che tra le colline.
Paolo sta cercando di portare una cultura anche tra le maglie strette dei compratori di formaggio, insieme alla sua famiglia ha creato dei negozi sparsi tra Collecchio e Parma, ha creato una cantina con bottiglie più che interessanti e sta riadattando caseificio e stanze di stagionatura ad una contemporaneità che vuole sempre vedere tutto. Un po’ di estetica e un po’ di armonia chiuderebbero un ciclo, a volte interrotto e a volte no, che di questo Parmigiano, prodotto veramente diverso da tutti gli altri e fuori da qualunque schema, nel bene e nel male, ha creato una mitologia e un interesse, che ha messo a stagionare migliaia di forme e che nella filiera ha provato quel brivido che è rimasto lì, succinto, quasi inespresso, vittima delle troppe chiacchiere e dei troppi portamenti. Così mostrazione e nascondimento si alternano tra le paste cotte, le vasche di salamoia antiche per forme di Parmigiano a bassa salatura, e quella ridottissima percentuale di formaggi che, dopo il controllo, viene rimandata al mittente perché il martelletto stona nel vuoto. Mentre poesia e verità attendono i suoi mentori e i suoi giudici, il formaggio rimane sul palato, rendendo tutto più concreto…
CASEIFICIO GENNARI
VIA VARRA SUPERIORE 14/A
COLLECCHIO (PR)