Siracusa. Città dalle mille anime, dalle mille definizioni e dalle mille antinomie. Qui la ragione si perde dietro ogni angolo, dietro ogni coercizione e dietro ogni contraddizione. Il diseguale non è disumano ma non può fare a meno di flirtarci. E così si passa dalla stupefacente restaurazione di Ortigia, anima defraudata, magica, depauperata e rimessa in circolo di una città che è stata greca, bizantina, araba, normanna, spagnola, borbonica e infine italiana, allo spopolamento dell’immigrazione, al terremoto che l’ha distrutta nei ricordi, fino alla ricerca del petrolio per deturparla. Così è stata circondata dalle industrie, dai centri commerciali e dai centri di mestizia, quelli che hanno depredato una conformazione geologica che vive di turismo e muore di turismo. Qui l’agricoltura puzza di paura e così consorzi e serre si nascondono dietro una produzione che cerca di allontanarsi dall’infamia. Qui il deforme si nasconde negli ipogei e tra le latomie, e il canonico appare nelle forme del barocco illuminato. Ortigia è un’enorme piazza di recupero, dove le stratificazioni danno testimonianza di sé e le sciagure sembrano torvi ricordi di degrado. Il dorico che diventa cristianesimo e ritorna periferia di passaggio. Senza abbandono, con quei negozi territoriali che sono lì come potrebbero essere altrove e con quella pasticceria che ha deciso, per l’ennesima volta in Italia, che fuori dal centro ci sono più possibilità di errore…
Antonino Brancato è il compimento di un percorso di pasticceria che in Siracusa non ha mai avuto una scuola. “Perché quando non si ha nulla, non si ha nulla da perdere”… e così Antonino è venuto da lontano e ha imparato un arte che sembrava distante dalle sue possibilità. Prima in giro per alcuni locali della provincia, poi in una gelateria in città, che ha deciso di rilevare, provando ad accostare al gelato qualche brioscia e qualche dolce da forno. Così, senza presunzione e senza preparazione. Lentamente si è creato un marchio, ha stigmatizzato le famigerate creme gialle, cercando collaborazioni con pasticcieri continentali, ha fatto arrivare a Siracusa i migliori professionisti, ha creato il suo dolce iconico, la torta Don Camillo per il ristorante omonimo, ha lasciato che suo figlio Carmelo trovasse la sua strada tra corsi e laboratori, ha cancellato il pressapochismo locale dell’operaio specializzato, portando giovani da tutt’Italia, non si è mai spostato da lì, al negozio in centro ha preferito il catering raffinato, ha ampliato i laboratori ma soprattutto ha preso un territorio rendendogli il servizio più intransigente: il rispetto.
Dai limoni è arrivata la sua torta più rivoluzionaria come sublimazione di un tritato di bucce di verdello di Monica Fiumara: sviluppo in una crema ai tre amidi, messa a punto insieme a Yann Duytsche, pan di Spagna perfetto, che supera la sicilianità classica delle masse pesanti, e riflesso di una struttura elastica e compatta. Una nuvola, quello che deve essere. Ed è lì la stupefazione, non nei babà destrutturati, resi torta e miscelati con la ricotta e nemmeno nella precisa ganache al pistacchio della Don Camillo, è nella semplicità di un ingrediente sapientemente dosato e semplicemente semplice. Così come nella granita amarognola dove le bucce richiamano quasi il bergamotto o nella pasta di mandorla in panetto, declinata in granite, gelati e dolce, in quella tradizione che in quel lato del mondo vede un’eccellenza senza uguali ma tra molti sofisticatori.
Ecco, la pasticceria di Antonino è quello che la pasticceria siciliana non è mai riuscita compiutamente a realizzare: un bravo professionista che si aggiorna costantemente, contribuendo a sviluppare idee originali, “che guarda all’innovazione come ad una possibilità e non come alla sconfitta della tradizione”. Perché una tradizione fatta di vanillina, margarina, aromi di sintesi casuali, bruciature, quintali di lievito di birra, ricotte in polvere, cannoli comprati in serie e creme gialle inamidate, è già un tradimento molto al di là di qualunque definizione e di qualunque proclama.
Ragionamento disilluso: “È tutto in uno stato di abbandono così bigotto che non si riesce neppure più a percepire la differenza” – Ragionamento entusiasticamente turistico: “È tutto meravigliosamente buono, d’altronde è siciliano”.
Ma il nome è un presagio nefasto di accozzaglie… e pasticceri come Antonino Brancato (che vede nel futuro la realizzazione degli errori quotidiani) sono l’unica possibilità di salvarsi da sofisticatori e diluiti pastry chef che vendono carabattole da suq marocchino, a turisti radical chic dal “formidabile” sempre pronto a partire.
Ma in periferia a Siracusa, senza duomi barocchi dirimpetto, il dileggio equivale alla morte e l’unica salvezza è perseguire questo tipo di pasticceria senza tradire il futuro e il gusto originario…
Un’accoglienza concreta. Questa è la vera differenza…
PASTICCERIA BRANCATO
VIA GROTTASANTA 219
SIRACUSA