Tabiano Terme. Città del respiro e del turismo dopo il turismo. I primi venti, le prime nuvole e la città si è sempre riempita di cortei ducali e rughe senza temperanza. Così, nella cogenza di una pelle da restaurare, lo zolfo più pregiato d’Europa è sempre servito come succedaneo della bellezza. Il turismo arrivava, si tappava il naso per le esalazioni e tornava ad immergersi in un clima di relax, un po’ lascivo e un po’ sonnolento. Con quel languore, a metà strada tra l’estate e l’autunno, che dei balli, delle cerimonie, dei maglioncini di cotone sulle spalle e soprattutto della struttura decadente della vita, quell’architettura belle epoque senza smagliature, ha scritto le pagine fondanti di un turismo che non esiste più se non nei nomi. I bagni di Tabiano sono preda di pullman convenzionati con il calcolo dei decessi: salute uguale guadagno. Così il castello fa storia a sé e il paese è un intrecciarsi di parcheggi, alberghi ed edifici languidi. Però che meraviglia questa possibilità tardiva di non conformarsi al progresso. Che rimanga così nel suo anacronismo e su quei colli agricoli che di sfruttamento han sempre campato!
Qui, Claudio Gatti ha portato fuori la sua storia fatta di lavoro e di mestiere, di bottega e di privazioni, molto al di là della ribalta contemporanea. I bisogni dell’infanzia e dell’adolescenza si sono concretizzati in un impiego alla Pasticceria Tosi di Salsomaggiore. Lì è diventato un pasticciere, ha ascoltato storie e ha lavorato. Ha accolto quel pasticciere abruzzese con la sua ricetta della focaccia e l’ha portata fuori. Ha rubato il mestiere, restituendo indietro un futuro. Il passatismo è rimasto a valle e lui ha creato una mitologia metodologica e lievitista.
Semplicemente ha assecondato il mellifluo contemporaneo, alla ricerca di nuvole gastronomiche, di palato, di qualcosa di umido ma non grasso, di morbido ma non troppo dolce. La focaccia di Claudio Gatti ha raggiunto l’obiettivo della golosità. Una merenda, un lavoro senza soluzione di continuità, un panettone che non si può chiamare panettone per due motivi: un decreto di legge del 2005 che impone la materia grassa butirrica in quantità non inferiore al 16% ma soprattutto perché Tabiano e il suo turismo termale vanno in letargo e il disgelo settembrino non avrebbe avuto quell’appiglio comunicativo su magliette a maniche corte e camicie sbottonate. Focaccia era il quid degli assaggi per i turisti alberghieri. Ovattata e succulenta: rinfresco della pasta madre ogni quattro ore (praticamente tutto l’anno), possibilità d’impastare fino a tre quintali al giorno, un laboratorio dedicato, poco grasso, farine in rotazione, ma soprattutto siringatura di una bagna alcolica per morbidezza, umidità ma soprattutto serbevolezza (shelf life invidiabile senza invidia e senza nemmeno mono o digliceridi). Tè verde, birra Del Borgo, olio d’oliva, agrumi siciliani, maraschino albicocche e ananas, grand marnier e cioccolato. Produzione e futuro. Claudio guarda le farine (questa struttura, dove il burro non è così coercitivo, può veramente ridare indietro le fragranze del grano) e potrebbe vederci un passato, un ritorno, dei profumi, un territorio e un mugnaio. Potrebbe…
Il resto è corredo fatto bene. Dalla mille sfoglie ai brutti e buoni fino al placido, e ormai veramente lontana dai sapori contemporanei, Dolce della Via Francigena, una pasta montata sopra una frolla, impreziosita da nocciola, noci e castagne, il tutto ripreso su un antico ricettario di desideri concupiti dai viandanti pellegrini e realizzati dal pasticciere. Un bel prodotto, pieno, bilanciato e assolutamente friabile.
Claudio, a casa sua, è una persona nascosta, molto lontana dall’estemporaneità guascona dell’evento, dove l’assaggio deve essere accompagnato da un po’ di racconto e da troppo pepe. Mani e lavoro. Bottega e laboratorio. Gestione del lievito sopra tutto e la voglia di continuare a fare il pasticciere negli ordini di valore. L’adolescenza dei figli l’ha passata tra casa sua e la pasticceria, concorsi, festival gastronomici e rassegne sono arrivate dopo, proporzionalmente alla sua scoperta da parte dei caciaroni, dei bomboloni e dei compratori. Claudio è sanguigno, terroso, non ha più voglia di competizione e non rimane interdetto in mezzo a nessuna sovrastruttura. Quello che dice ha un senso e questo è già molto più che abbastanza. I galloni se li è messi con il sudore e non è la solita metafora che aiuta alla persuasione e all’empatia. È contesto più che lacrima. I calli e la clientela sono l’anima delle notti passate in laboratorio, tra il sonno e la veglia, con quelle occhiaie che del passato fanno trasparire i tempi della canfora e della necessità. Il sostentamento è diventato gastronomia e più di duecento quintali di lievitati all’anno. Lui e pochi altri. E ancora ci sono giornalisti e pasticcieri che discutono di paternità di un prodotto e d’identità territoriale… Tre parole: sostenibilità, sostenibilità, sostenibilità…
PASTICCERIA TABIANO
VIALE ALLE FONTI 7
TABIANO TERME (PR)