Ragusa è un luogo tralasciato, pieno di vicoli, rotonde e discese che non portano a nulla se non a girare intorno a quell’unico motivo impossibile attraverso cui si è riuscito a ricreare la natività all’interno di un’apparizione. Che viene cercata e che non si fa mai trovare simile a se stessa. Bisogna affidarsi e guardare oltre quel terremoto che ha scardinato il medioevo, rendendo indietro quel tardo barocco che ha reso il Val di Noto quello scrigno presenzialista che non può mai essere evitato in una discussione che vuole la Sicilia come centro di smistamento delle cazzate vacanziere. Superato l’oltre di queste facciate, il molto oltre, dopo aver capito che ruota tutto intorno a quell’impiantito medievale-bizantino, dopo aver visto le luci notturne, dopo aver surrogato il nero con il luminoso dorato della pietra locale e dopo aver rimesso in discussione il concetto di pretesa, appare l’unico motivo attorno a cui ruota tutto: Ibla. Nata dalla morte per essere ammirata. E così la ricchezza non è più un barlume di limone raccolto, di zolfo prelevato o di cannolo riempito, è lì sotto una forma lacerata di povertà, quasi traslata verso una Sicilia che non è più appartenenza e non è più nemmeno possesso.
Scarabocchiato ciò, sono costretto a tornare a Ragusa nuova, in mezzo a delle rotonde in salita. Lì, manco fossimo tra Ouarzazate ed M’Hamid, Francesco Cassarino ha messo in piedi il suo Caravanserraglio per viandanti e dogmatici.
Chef fuori logica ma soprattutto senza contemporaneità. Ha preso il suo forno a legna e, rarità delle rarità, ci ha iniziato a cuocere il cibo. La pizza è quel surplus da terra disillusa. Lunga maturazione, un paio di grammi di lievito per kilo di farina, processi enzimatici sostenuti, farina Quaglia, sapori controllati, pochi alveoli ma molto croccante. Un filo pedissequa e un filo barocca ma il topping porta fuori le contraddizioni risolvendole. Verdure dosate, contrasti intelligenti, sapidità bloccate. Francesco porta tutto sul piano della cottura, soprattutto le strutture. Così il tempo giapponese è diventato taglio e temperature. E, dopo aver scelto con minuzia il pesce e la sua povertà, lo porta in tavola, più come un intagliatore che come uno chef. Il gusto rimane molto al di sopra della pizza e della sua cultura verso un territorio che è diventato allevamento, almeno nella sua concezione di alimento. E qui non c’è nulla di pretenzioso. Francesco ha rimesso in piedi un piccolo allevamento di Modicane al pascolo, per una tracciabilità che vada molto oltre i muretti a pietra e la bellezza di questo territorio dove le vacche si nascondono in stalla e la filiera corta assume vieppiù il leggendario furgoncino Selecta a fare piazza pulita di tutto. Perché i “risolvi-problemi” a Francesco non interessano, la faccia ce la mette lui. Dalla banchettistica a quelle tre tipologie di ceppi (limone, olivo e carrubo) che gli servono, insieme al mattone refrattario, per la struttura di quella meraviglia che è il suo forno a legna, la sua idea di gastronomia, e quella della sua famiglia, è terrosa, senza implicazioni, basica, ma soprattutto diretta. La pizza ha degli sviluppi futuri assolutamente ampi, ha delle revisioni concettuali prescindibili e delle fragranze da mettere a posto, ma questo luogo non rispecchia e non rispetta la suggestione della comunicazione che non parte mai da un preconcetto e non arriva mai ad una perversione da tasca piena.
Lì in mezzo c’è un dialogo che ha ben impresso dov’era, i viaggi che ha fatto e i piatti che ha lavato… in una terra dove si spellano le mani per gli applausi e dove il barocco ha incancrenito le gambe della ricerca, Francesco mantiene intatta un’iconoclastia laconica…
CARAVANSERRAGLIO
VIA PIETRO NENNI 78
RAGUSA