Vedeseta. Ultimo e primo paese della provincia di Bergamo. Piena Val Taleggio, dove allevatori e casari hanno creato un’eponimia tra gli abitanti e il formaggio. I tornanti che salgono e che scendono dal Culmine di San Pietro dividono e rendono remote le valli circostanti, la pianura e la possibilità di rimanere. L’evoluzione umana, quella che sente la vita nei tubi di scappamento, sta abbandonando lentamente i prati senza attrezzature turistiche e gli chalet senza una gastronomia da cucina tipica. Vedeseta è un paese di frazioni e di case. Non restano che un paio di centinaia di persone ad occupare quella professionalità chiamata sopravvivenza.
Località Reggetto, una frazione di Vedeseta, è il regno di Guglielmo Locatelli, il salvatore dello Strachitunt, il progenitore del gorgonzola, uno di quei rarissimi formaggi che erborinano spontaneamente, senza inoculi, che hanno ancora la velleità del latte crudo in quelle valli del Taleggio (bergamasco e lecchese) dove la pastorizzazione è diventata più che un consiglio delle Asl, un comandamento della perversione.
Nove di mattina davanti all’azienda. Ospitalità risicata da occhi cisposi e un pick-up carico di vivande e persone. Due bambini nel cassone e una strada verso l’alpeggio di famiglia, tra l’accidentato e il noioso.
Guglielmo hanno provato a tirarlo giù dall’alpe e hanno provato a mistificare la sua età con malattie e sintomatici misteri. Giulio Signorelli, esimio bottegaio bergamasco, ne è stato il divulgatore ma è rimasto frainteso nella vecchiaia. I figli e la moglie, dopo una polmonite primaverile, lo avrebbero visto tranquillo sotto una coperta di fine estate. Lui, 82 anni, e una febbre a 39 il giorno precedente la nostra ascesa, dimostra un’agilità da stambecco. Quando Marco Colzani, compagno di viaggio estemporaneo dopo un lancio di dadi mattutino tra le malghe e il laboratorio, gli ha porto un braccio per fargli superare uno scalino di terra, Guglielmo lo ha scansato con tutta l’orgoglio dell’autarchia.
L’attenzione convogliata, negli ultimi anni, su questo allevatore, lo ha portato ad emettere una buona dose di narcisismo. La foto e la carta stampata sono diventati inscindibili dall’idea di visita. Ancorchè non m’interessasse più di tanto immortalare, mi sono trovato ad accondiscenderne la vanità. Così, in mezzo alla fioritura del pascolo, alle improvvisate pozze, ai giovani che al posto della play-station, per il compleanno, hanno deciso di farsi regalare un vitello, ai cani-vedetta e alle straordinarie brune alpine della famiglia Locatelli, (piene, slanciate, di una docilità fuori dall’ordinario ed estremamente produttive…) selezionatrice di razze, Guglielmo ha espresso quel paio di concetti antitetici al mondo: le foto in posa con la possibilità di dormire per terra; “Io tutti i giorni sto bene e tutti i giorni sto male… non esiste un periodo dell’anno in cui…”. La domanda può essere qualunque. Il suo viso ormai è scolpito su pietra e sulla prima fase della monticazione. Prendendoci per cittadini, ci mostra con il dito, fino alla confessione di un’interazione riuscita, il secondo e il terzo-definitivo stadio degli alpeggi. L’ultimo, oltre i duemila.
Venticinque mucche in lattazione su in alpe, le restanti giù a Vedeseta. Due formaggi. Lo stracchino quadro, con la doppia stagionatura, e lo stracchino tondo, con quell’aurea leggendaria che fatica a farsi da parte. Una famiglia, con quattro figli, più o meno ribelli e più o meno concordi. Qualche moglie, qualche nipote, una cooperativa a fondo valle, che commercializza i formaggi prodotti per il 60% con il latte della stessa famiglia, alcuni maiali per i salami e quell’odore di bollito, educatamente rifiutato per la fretta metropolitana, che ancora allenta le narici.
La produzione dei formaggi continua divisa, tra l’alpeggio e Reggetto. Le forme vengono portate giù ogni due o tre giorni e pressate all’interno di madie in legno, aperte su un lato. Il caseificio è minuscolo. Caldera in rame, spino in legno e nessuna stagionatura (…viene fatta in valle…). Lo stracchino fresco “a munta calda (con il latte appena munto)” è un formaggio incredibile, rorido, fiorente, assolutamente “grasso”. Estremizzazione di latte da una parte e di mancanza di acidità dall’altra. La stagionatura di un paio di mesi ricopre la crosta di muffa annerita, manteca un filo l’unghia, proteolizza poco, rilascia al naso sentori umidi e in bocca qualcosa di balsamico.
Lo Strachitunt, unico tra gli unici (il resto che si trova in giro è una pallida imitazione perlopiù pastorizzata e insufflata da affinatori di pianura allergici ai foraggi e al pudore…), di Guglielmo è l’inspiegabilità del caso: latte crudo, erborinato naturalmente, doppia pasta derivante dall’unione della cagliata della sera con quella del mattino, forma rotonda, con una crosta giallognola edibile ma non necessaria. Le forme vengono bucate per consentire il formarsi delle muffe che si sviluppano in quelle insenature cremose dovute alla doppia cagliata. Le venature mantecano con il passare del tempo fino ad una totale proteolisi dell’unghia. Al naso si può ancora mantenere un riserbo ma in bocca esplodono note di una dolcezza irriguardosa che arrivano fino alla “banana”. Nessuna piccantezza e nessuna cattiva fermentazione. Tre mesi di stagionatura a crescere e straordinario retrogusto “verde”.
Fiori, vacche e una famiglia che ho paura non resista agli scossoni del tempo e dell’economia. Guglielmo ha sempre quello sguardo severo che della fierezza si è fatto un baffo, non concede né sorrisi né circostanza. È un uomo di un’altra epoca per cui comunicazione non è dialogo ma silenzio, espressioni e rancori. È la bellezza di un tempo e di un formaggio che non ci saranno più…
AZIENDA AGRICOLA GUGLIELMO LOCATELLI
LOCALITà REGGETTO 8
VEDESETA (BG)