Cittadella. Pianura Padana, clima torrido, pranzo inoltrato, morte civile. Il clima post-atomico crea illusioni ottiche all’orizzonte e miraggi nelle orecchie. Delle mura difensive, totalmente avulse dal contesto, cingono quella che rimane di una delle fortificazioni medievali meglio tenute in Europa. Torri, torrioni, porte, fossati sono il riassunto italico di un posto del genere in un luogo del genere: assoluta privazione sia del fascino che della memoria. I posti da un tanto al kilo, senza una tipicità sincera, abbondano, così come le ricostruzioni proditorie. Cittadella è un paese dalle tinte chiare, poco persuasive e poco evocative. È un luogo fisico, di indubbia attrazione, che non trova un corrispettivo emotivo. Al di fuori è un incedere nefasto di costruzioni basse, prefabbricati marroncini e centri commerciali. Il tutto sempre sotto effetto di una Fata Morgana che ha preso le mie parole e le ha gettate nella nebbia.
Piccolo centro commerciale fuori moda, un discount e un negozio biologico. Accanto, “Le delizie del grano”, uno dei due locali di Nicola e Davide Trentin. Panificazione e pasticceria, ancorchè il pane, soprattutto nella struttura del locale, appaia come il centro nevralgico. Ad unirli la passione per il lievito e due caratteri che dell’antitesi hanno fatto un modello.
Quando le battaglie erano le foto sulla bacheca e gli ingressi importanti e quando i clienti di Cittadella, causa festival estivi, erano di caratura internazionale, i Trentin apparivano come una famiglia di ristoratori. Poi… un paio di anni (i migliori) passati da Nicola a ragioneria, un alberghiero in due e un ritorno o arrivo in laboratorio. L’occasione di un negozio e un’ascesa molto al di qua delle mode. Il pane arriva, arriva con delle idee, arriva nei ristoranti di prestigio e nei corsi dei mulini “importanti”. Loro, nonostante al di là delle vetrine l’asfalto produca in maniera naturale bar tabacchi, ricevitorie e parruccherie, continuano a rimanere in laboratorio e ad elaborare idee che brillano di poliedricità.
La conservazione è lo Shangri-La degli artigiani. “L’artigiano contemporaneo deve conoscere i processi industriali che, per contrapposizione, riescono ad emulare il suo stesso lavoro”. E qui Nicola ha strutturato le sue fette di pane e le ha messe nei sacchetti, con quel mese di scadenza ricavato dagli umori e dall’impiego dei lieviti. Perchè il pane rimasto a scaffale, in rigorosa pasta madre, può (il cliente finale lo prende e lo conserva, lo stringe in un canovaccio, lo rigenera in forno o in acqua…) e deve (la necessità di un panificatore è quella di individuare e di dimostrare che una via è possibile…) dilatare, diluire o aumentare i suoi sapori e la sua shelf life. Elementare ma non scontato. Ecco come è apparso il panificio dei fratelli Trentin. Il lievito di birra è una panificazione diretta per le piccole pezzature e per una pizza che andrà rimessa in circolo con altre modalità. Tutto il resto, dalle pezzature di 400 grammi, ai croissant, dai panettoni ai pan bauletto è una lievitazione spontanea che ha le sue radici tra Cinto Caomaggiore e Sain Vincent. Ezio Marinato e Rolando Morandin. I maestri di molti. Due persone al di là di tutto. Una base da cui partire, un lievito a bagno d’acqua che rilascia un’acidità acetica molto più accentuata al naso che al palato. E così nel pane. I “quagliofili” lo trovano acido, i restanti no. Sarà una guerra santa tra poveri. Eppure le Petra non sono un diktat ma una definizione di territorio. La provincia padovana è un’intenzione d’essere dove è troppo semplice essere attratti.
Petra 9 e multi-semi sono pani estremamente equilibrati, con una testura friabile ma non sbriciolabile e una crosta assolutamente croccante. Il naso è il solito di Quaglia, non sono particolarmente idratati, ma sono sovrastrutturati da quei miglioratori autoprodotti, di raro impatto poetico, composti dalla sbriciolatura delle croste del lievito madre. Ciò che sorprende è la durata. Oltre i dieci giorni, per una micca da un kilo. Ecco l’unica e straordinaria comunicazione del lievito naturale.
I panettoni sono ben alveolati, non particolarmente umidi, con un naso molto forte di burro, forse un filo oltre. Eccezionale umidità, canditura autoprodotta ben adeguata ed estremamente interessante. La struttura è compatta e il gusto ben equlibrato.
Il pane rimane l’anima profonda del posto, nonostante una commercializzazione e una facciata con un po’ di patina. Far parlare è meno importante di far capire. E così Nicola regala il lievito a chi viene una volta e lo fa pagare a chi torna tutte le settimane. I motivi sono comunicativi. Partire dall’impasto, trovare dei contrasti, provare ad associare ad ogni pane un tipo di tessuto dove avvolgerlo e in cui completarlo*, dandogli un abito e un nome, organizzare nottate fermentanti e creare una rete di artigiani anche in un posto equamente distante dalla natura e dalla struttura. Nicola e Davide hanno l’ospitalità della stanchezza e questo basta. A volte non trovano il sapore o non trasmettono, attraverso il prodotto, una ricerca nitida, a volte mancano un po’ d’estetica o di peculiarità gustativa, ma hanno dalla loro delle idee che generano sinapsi, che creano successivi pensieri, che non danno per scontato al laboratorio il ruolo di laboratorio. Nell’antitesi mi sono perso e la mia conoscenza si è trasformata in stanchezza, tre del pomeriggio, afa e sveglia presto. Ma tanto è bastato per aver messo in circolo un’impressione. Insomma, qui ci sono due persone che hanno, finalmente, deciso di aprire la propria fucina e di mostrare l’esistenza di un artigiano…
…il mio auspicio, ogni tanto, fa già parte del passato…
*da qui il loro progetto Pan&Trama – Vestire i pani… “ovunque vi fossero degli ingredienti amalgamati, i tessuti sembrano poter fornire una vasta gamma di termini che richiamano lavorazioni e impieghi legati al mondo della cucina… In particolare, tale affinità è a nostro avviso ancora più lampante ed efficace nel mondo della panificazione. Le farine e le lievitazioni lavorano per creare intrecci e fragranze, che donano particolari caratteristiche al pane prodotto. Forti di tale convinzione abbiamo studiato i tessuti, scoprendo tutto un mondo di eleganza e passione, che ben si prestava a ornare e abbellire il pane… Vestiremo i pani perché esistono alcune famiglie di tessuti, che sembrano essere nate apposta per raccontare e custodire le qualità di un impasto e diventano pane grazie al lavoro di un insolito tessitore, il panificatore, che ha intrecciato farine e ingredienti per regalare sofficità e trame…”
LE DELIZIE DEL GRANO
VIA PALLADIO 48/G
CITTADELLA (PD)
Quagliofili non è niente male! Bravo Nico