Pontecagnano. Un paese delimitato da un passato inesistente. L’inizio di una piana paludosa, campi incolti, vista che si perde in un mare senza ritorno, i cittadini vissuti tra le strade di Faiano, a ridosso dei monti Picentini, e una distribuzione della ricchezza attenuata da quel lembo primitivo che permetteva a qualcuno di coltivare. Pontecagnano è arrivata tardi, insieme all’edilizia, come propaggine di quella Salerno che non è più nulla se non fuga. Così, la cartografia e la mappatura eroica, quella fatta dal viaggiatore per un’immagine statica di chi quei posti non avrebbe mai potuto nemmeno tracciarli con il dito, è lì a dimostrare un passato. I sogni erano un privilegio molto al di qua della potenziale immaginazione. Quei luoghi avevano dei profili geografici che non rappresentavano che una forma. Ma proprio lì, nella cartografia rinascimentale, Taverna Penta, o Dipinta, era un sicuro approdo poco prima di Eboli, dove il mondo finiva e iniziavano i racconti dell’orrore. E lì, la famiglia Morese, costruita a partire da una genealogia, che non ha mai un ritorno se non nella beatitudine, e da stampe antiche accertanti compravendite già nel 1500, alleva le bufale da quei tempi senza memoria che sono stati messi a disposizione del ricordo dal lavoro di Filippo, ultimo discendente di una stirpe che del passato ha fatto un fregio determinato e indelebile.
Un uomo d’altri tempi dallo spirito amanuense e allevatore. L’arte della terra è l’arte della copia. Così, Filippo Morese si mostra come una personalità gentile alla ricerca di retaggi cartografici ed etimologici per riportare tutto a casa.
Pontecagnano non è un luogo di mozzarelle di bufala ma è sempre stato un luogo di allevatori. La sua famiglia si è frammentata, dispersa, ritrovata, ha avuto a magione re e regine, ha cavalcato sui cavalli salernitani, ha contribuito alla vittoria di ori olimpici, ha bonificato una pianura, ha creduto nelle bufale, nei cappelli di paglia e nei cappelli di feltro, ha coltivato, ha fatto lavorare, ha mostrato un paese al di là delle mode e si è ritrovata a produrre formaggio. Lì, in quel determinato punto in cui i consorzi hanno cominciato la compravendita delle anime, Filippo ha messo mano alla sua storia, iniziando ad innovare e a rendere meno reticente una zona del salernitano dove il passato è rimasto sepolto sotto la vista da balconi di palazzi che del diroccato han fatto uno stile.
Lì, dalla terrazza della sua tenuta color terra cotta, fiancheggiato dai suoi allevamenti, perdendosi tra il granoturco maturo che crea soluzione di continuità all’approdo al mare, con quel filo di vento che tutto contempla rendendolo più contemporaneo, ha deciso che la sua visione del mondo sarebbe stata quella galante della cortesia. I gentiluomini e gli altri tempi rimangono tutti lì, in quegli ettari di campagna sospesi dall’incredulità. Filippo Morese è un allevatore come non ne fanno più, con quel rispetto fecondo che rende tutto più rarefatto. Le sue bufale sono nella terra. Dentro. Totalmente.
Il latte è perfettamente bilanciato, prodotto come andrebbe prodotto, con acidità e dolcezze al proprio posto. La mozzarella soffre un po’ la discrasia tra Filippo e i suoi casari, la distanza culturale nella percezione di un prodotto finito. Mozzatura a mano solo per alcune pezzature e lavorazione del latte un filo pedissequa: il gusto percepito è comunque eccezionale, la forma, la struttura e la sfogliatura sono una miscellanea di controllo di carica batterica e tempi che Filippo deve pretendere. Il rapporto con il casaro deve essere una sua esclusiva di dialogo. E la percezione, una volta dentro il caseificio, è uno stato di cose. Il latte refrigerato non è mai stato un problema per nessuno e non deve diventare una leggenda, I prodotti Taverna Penta sono talmente buoni da non abbisognare di scorciatoie. Quindici quintali di latte, mozzarelle (straordinariamente serbevoli), trecce, ricotte (eleganti, ben malassate ma soprattutto perfettamente vellutate), yogurt (molto morbidi, forse un filo piatti…), budini, gelati (ecco, qui Filippo ha trovato l’eccellenza… ha messo a punto, insieme al suo pasticciere, un prodotto con una struttura perfettamente bilanciata… un po’ di materia prima e il voilà sarebbe pronto ad accadere…), dolci e torte, in quel movimento modernista, la new wave della mozzarella, che lentamente sta allungando le mani su un prodotto rigorosamente da filiera.
La mozzarella da latte comprato è sempre stata espressione di una confusione. I gastronomi dalle classifiche facili mostrano sempre più ebetudine difronte al discernimento. La loro crisi è sempre un viaggio all’interno del supermercato. Filippo Morese, la sua azienda, la sua famiglia, in quella terra di mezzo tra Napoli e la Scandinavia, i suoi prodotti, quella casa da fazendeiro elegante, le sue carte, quelle mappe scovate tra le congerie e le anticaglie di rigattieri, certosini e filologi dell’oltretomba, quelle foto in bianco e nero, le lettere di retaggio, i campi di granoturco, gli allevamenti di bufale dove è tutto auto-prodotto, dove ci sono gli animali in lattazione, quelli in asciutta e quelli destinati alla vendita e alla genetica (perché la selezione delle sue bufale è un principio fecondo che si è dipanato su tutta la piana…), sono un principio di qualità con uno sviluppo ben preciso, al di là di vendite e costumi. La strada è lì… polverosa…
VIA ABATE CONFORTI 1
PONTECAGNANO FAIANO (SA)