Le donne, l’alpeggio e il tempo condiviso… Mandra Schennach

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Valdaone. Malga Stabolone che è appena diventata Malga Rolla. Approdi antichi e lontani di fiumi, laghi e cascate che diventano improvvisamente val di Fumo intatta, dove il selvaggio richiama solamente la caccia di selezione e il tempo speso ad aspettare l’improvvisarsi dell’animale. Qui ci sono postazioni, altane fisse e una sfida alla natura che diventa analisi e roccia. L’attesa e l’etica sono richiami di una solitudine che non può essere prevaricata, qui la montagna diventa assioma, sussistenza e cadavere, qui il tempo non concede margini di errore, cervi, camosci e caprioli sono presenze erranti di una foresta che nella sfida per la sopravvivenza ha sempre nascosto il proprio motivo. Animali addomesticati e animali selvatici, funghi porcini e salvia spontanea, ogni curva segna il passo di un fraintendimento che non può essere messo su carta bollata, che non può essere messo in comunione con una borghesia urbana civilizzatasi al di qua della ruralità e del buio invernale. La stanzialità che ha reso l’uomo Uomo non ha mai attecchito del tutto nelle anime più montane, e così transumanze, spinaci di malga, alpeggi e cacciatori han sempre invaso il tempo dopo la riflessione, quello di un’azione macabra o di un’azione scalza, quelle che prevengono da altri problemi e che portano sulle tavole affumicati e profumi di rododendro e ginestrino, in formaggi scremati dalla povertà dell’abitudine. Questi sono luoghi di malghe e di leggende, qui c’è il lavoro invernale e quello estivo. E così la storia di Mandra Schennach diviene riassuntiva di un linguaggio.

Scesa da poche ore da Malga Stabolone a Malga Rolla, macchine, cani, un meticciato di vacche e un meticciato di persone reali e casuali, lavoratori indefessi e rughe senza pensieri. I formaggi sono rimasti su a stagionare. Il lavoro estivo di Mandra è quello di malgara, una delle più attente studiose di formaggi che mi sia mai capitato di trovare tra i pascoli e il cielo. Il suo formaggio la rappresenta in maniera quasi idilliaca, nei pregi e negli spigoli. Nella necessità di dover portare su in alpe animali di vari allevatori, anche di latente pulizia alimentare, perché qui non si è mai padroni di niente soprattutto se l’alpeggio è arrivato in fondo ad un percorso di non possesso, e nel desiderio di non rispettare la tradizione, perché da queste parti, se una tradizione c’è stata, è rimasta attecchita nel ricordo degli anziani e nei vagiti degli adulti, e di fare un formaggio che nulla ha da spartire con la storia sbiadita di queste malghe.

Qui si mangiava, e si mangia ancora ma non così spesso, un formaggio poco grasso e un po’ scialbo, mentre il formaggio di Mandra è un formaggio intenso, deciso, che riporta all’estensione dei gruviera, proprionico, dolcezza, una cottura un filo asciugante e straordinario nelle lunghe stagionature. Lattoinnesto che stabilizza la varietà di pascoli e di mandria, una sgrassatura che comunque nulla toglie al piacere e nulla toglie all’affinamento sopra i sei mesi/l’anno.

Mandra d’inverno si tiene per sé poche vacche e caseifica qualcosa, ma il mestiere non arriva fino alle rive del Garda. Il governo del bestiame e delle malghe è un lavoro abbiente che non deve mai scadere nell’abietto, e così i trattoristi contemporanei, dall’insilato facile, che consegnano in mano lavoro ed estate, devono sempre rimanere un passo indietro nelle scelte, soprattutto nella rozzezza dell’incolore. A me però piace il sogno… e così immagino Mandra, nella sua virulenza strategica, in quella vita che l’ha portata da un infanzia hippie tra Bologna e l’indefinito, dove il lavoro è sempre stato uno scambio e un’affermazione, con del tempo per delle scelte più definito, con giovani a prenderne l’esempio e a rubarle quel po’ di professione che ha messo insieme senza indugi, in quella forma senza tempo che è il formaggio insieme alle sue fermentazioni. Le capacità devono tornare ad essere libere di essere…

MALGA STABOLONE E MALGA ROLLA

VALDAONE (TN)

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