Dolce Locanda: il tempo che è passato, passerà?… Giulia Cerboneschi

Verona è un girone di rientro, vicoli e dolci lievitati. Ci sono famiglie storiche, che hanno diviso, si sono divise e hanno conquistato la fiducia borghese di una cittadinanza affermata dalle regole e dal compromesso, senza baldanze e rivoluzioni, senza necessità di doversi affermare al di là delle nozioni e degli insegnamenti. In città come queste le rughe hanno ancora la loro funzione sociale e i locali mostrano più di quanto realmente contengano. La famiglia Perbellini, edulcorata forma di noblesse oblige con molta forma e poche domande, ha allungato le tovaglie su possibilità più prosaiche, portando, da Isola Rizza, non solo contrasti ma anche sobri dolci atavici e una ragazza, con una esperienza importante nel posto giusto, quelle Calandre che sono più di un ristorante, con formazione, laboratorio, intelligenza e saper fare: Giulia Cerboneschi, 27 anni da compiere, è colei che si è presa in carico la rivisitazione del dolce di casa Perbellini.

Della zona di Volterra, dall’Etruria si è portata dietro il modo spiccio di stare al sole senza rimirarsi. L’ironia e la schiettezza prendono alla gola molto prima del dolce. Il tempo è una continua domanda nella mia testa che non posso fare. Vedo la selezione dei prodotti di contorno. Super. Forse addirittura eccessiva per chi nella pasticceria deve trovare una sua definizione. I lievitati sono quelli della Famiglia. Ricchi, vari, a lunga conservazione, da ripulire, con un senso più verso la vendita che verso il palato. Giulia glissa. Certe nevralgie è meglio non portarle in superficie.

Per il resto la sua è una mano lieve che, nella pasticceria teutonica, francese e nordica, ha trovato la sua forma d’elezione. Mascarpone e zabaione dosati alla perfezione. Tortini, bignè rinforzati dalla panna, Vialone nano, vaniglia e latte miscelati senza l’uovo, una punta di frolla e un miglioramento costante nel tempo, mignon precisi e classici, le contemporanee sezioni auree tra croccante, acidità e dolce, e infine la millefoglie strachin all’inverso, strutturata a monoporzione tonda e chiusa dall’amaretto, con il bianco d’uovo (che prende il posto del latte) ad accompagnare il tuorlo: stracca, si adagia, è più ariosa, panetto e pastello si scambiano i ruoli, non chiudendo perfettamente al palato.

Una pasticceria con un futuro bisognosa di più aria e di più libertà, nonostante Giulia sia riuscita a metterla a fuoco molto bene nei suoi limiti e in quel bellissimo laboratorio a vista, piccolo ma funzionale, dove la gioventù del pastry chef da ristorante deve fare i conti con le pellicce e gli intramontabili classici pomeriggi di uno shopping cittadino da incontri e tasche piena. La pasticceria era letteralmente presa d’assalto. Una nota positiva che nell’antieconomicità del tempo ricercato, comunque, è una forma di stima per i pasticcieri e per la città.

Giulia è una ragazza in viaggio, come è giusto che sia, una pasticciera capace, e soprattutto capace di imparare. Che l’opportunità le offra più apprendimento che insegnamento e che la cattedra non diventi necessariamente un predellino. Cucina e pasticceria potrebbero anche andare d’accordo e Giulia potrebbe perforare quella misoginia dolce, tabù europeo che a volte sembra impenetrabile…

DOLCE LOCANDA (FORSE…)

VIA CATULLO 12

VERONA

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