Butcher: frollature e somministrazioni… Sergio Maggio e Antonio Guerra

Verona. Una città a ridosso delle colline, uno splendore ducale di palazzi, vicoli, sguardi dall’alto, ponti e archi romani, campanili, i colori pastello delle facciate, il rosso coppo dei tetti, lo sguardo raffinato e ruvido di un sistema abitazione di chi ha sempre cercato di stare all’interno. Tutto questo nonostante le persone. Quelle che riempiono, che si mettono in coda e che rimangono borghesi per il semplice motivo di stare al centro. Perché qui, al di là del clima, della secolarizzazione dell’industria, di un dialetto duro e stretto e di un’ironia tetragona, giocata più sulla confidenza che sull’amichevole accattivante, non manca molto a livello estatico per sfiorare l’effetto pigmalione e rimanere lì giorni e giorni a rimirare e rimirarsi. Per trovare Narcisi, Verona è un luogo confortante. E così gli artigiani rimangono, ci sono i torrefattori, aprono pizzerie come se non ci fosse un domani, i dolci sono giustamente in vetrine edulcorate e la Lessinia viene invitata sempre più spesso a presenziare ai deschi più o meno imbellettati. In uno di questi, due giovani andanti hanno deciso di sfoderare la loro passione verso il pascolo, il grass fed e le carni che, nell’esotismo, trovano la notabilità.

Sergio Maggio e Antonio Guerra pochi mesi fa hanno aperto Butcher, la loro idea di macelleria contemporanea, dove il compromesso deve essere una base solida e il resto sono scelte rischiose dove portare la carne verso una masticazione che sia fatta di denti e non solamente di palato. Questa l’idea di Sergio, che sposa in pieno la mia tastiera, origini salentine, passato da cuoco e una compulsione verso la carne che l’ha portato fino alla rinuncia. Poi l’idea, unire forze e risparmi con Antonio, affinità da ristoratore, e provare a scuotere il centro di una delle città più conformiste d’Italia. Sì attraverso la borghesia stessa, patinata di senso, ma anche attraverso delle decisioni più nette e prominenti. Le more romagnole di Zavoli da frollare in mezzena, bestie più o meno grass fed di piccoli allevatori della Lessinia, razze indefinite, giapponesi e galiziane à la page, prosciutti insaturi e una bella contestualità fatta di piastre, celle di frollatura e dinamica del locale.

Perché l’idea di macelleria, e l’arrivo al bancone mentre Sergio sta disossando un posteriore non può mentire, è alla base di una somministrazione fatta di cotture contemporanee, di limiti di bollitura ma anche di reazioni di maillard e punti di fumo dei grassi.

Sergio ha dalla sua l’arroganza delle mani e la caparbietà di chi ha scelto quello che sta facendo. Antonio ha un saper fare contenuto, quasi delicato. Superate fatica e impertinenza dell’avere a che fare con giornalisti entusiasti, scorgo una possibilità al di là della ristorazione, nel lastricato artigianato che tutti accoglie e che tutti rifiuta. Gli atteggiamenti sono figli del tempo…

BUTCHER

VIA LEONCINO 7/A

VERONA

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