Maleo. Le strade nebbiose di una gastronomia che non c’è più, i tempi del Sole, dei Colombani e dei Brera, quello delle brume autunnali e dell’impossibilità coercitiva che uno dei migliori ristoranti lombardi fosse adagiato su quei campi, su quei fienili e su quelle marcite, diventati vieppiù “trinciatoie” e prati stabili. Una campagna lodigiana nobile, dagli olezzi moderati e dalle cascine defraudate dal pendolarismo da villetta e da condomini color pulcino. Campagne del genere hanno scoperto che, in assenza di ondulate colline e strade contorte, la produttività fosse la migliore delle fruizione, e così tutti a richiudere bestie, a richiudere il verde e a dedicarsi alla monocoltura come prima forma d’astio verso il mondo. E qui la credenza mantiene il nome generico, perché tutti sanno di cosa si stia parlando. Le biomasse e gli allevamenti, dopo la fine e affianco al diniego, hanno preso il mais, ripiegandolo su stesso in quella convenzioni pianeggianti che non hanno mai posto il contraddittorio.
Simone e sua moglie Dama ci hanno impiegato più di un lustro per abbandonare la monocultura e la storia gli darà assolutamente ragione. La famiglia Salvaderi su queste terre ha coltivato e allevato per quasi un secolo, Frisone Holstein, con ritmi coercitivi, 40 litri e oltre di latte al giorno, insilati e conferimento alle filiere del latte. Dopo l’abbandono dell’intensivo e con in mano il rimasuglio della monocoltura, Simone ha provato a guardare oltre e Dama a recepire novità che fossero significative. Così è passata attraverso l’intolleranza e lo stato dell’arte. Spingendosi fino alla remota Nuova Zelanda.
Nella Terra delle lunghe nuvole bianche, un paio di ricercatori avevano effettuato degli studi sulle proteine del latte, concentrandosi sulle caseine. Dimostrazioni scientifiche (che, per onestà di cronaca, ancora oggi sono al vaglio di studi di settore che non sono riusciti a sottrarsi dagli interessi economici che gli stessi sono andati a spianare…) di due ricercatori hanno portato fuori una proprietà della beta-caseina destinata a cambiare consumi e allevamenti: in alcune razze, soprattutto quelle che han subito di meno le modificazioni genetiche, la maggioranza delle vacche produce un latte che contiene solo beta-caseina A2A2. Cito gli scienziati, “a livello genetico la produzione di beta-caseina è controllata da un solo gene, come ad esempio nel caso della k-caseina, per cui il genotipo di un animale può essere “A1A1”, “A2A2” o “A1A2”. Una vacca con genotipo come nel primo caso produrrà latte solamente con la forma della beta-caseina A1, nel secondo solamente nella forma A2, e nel terzo produrrà in proporzioni uguali la forma A1 e A2. La differenza è nel DNA. Alcune migliaia di anni fa (circa 8 mila) nelle mucche europee si è determinata la mutazione di uno solo dei 209 aminoacidi della beta-caseina (la proteina più abbondante del latte), nella posizione 67. Lì, le mucche A2 hanno la prolina, quelle A1 l’istidina. Da quel momento esistono due tipi di mucca, l’A2, quello più antico e l’A1, quello che produce il latte con la proteina trasformata”.
I sostenitori di questo tipo di latte parlano di sostanze infiammatorie, in particolare “una sostanza ottenuta dalla scissione delle proteine del latte chiamata beta-casomorfina 7 o BCM-7, un oppioide naturale con un effetto pro-infiammatorio in grado di provocare intolleranze ed eczema, diabete e altre patologie… Resta comunque il fatto che, a oggi, non è possibile dire se il loro latte sia migliore dell’altro. La cosa sicura è che le differenze esistono e questo lo ammette anche l’Efsa, tanto che il latte A2 viene usato sempre di più per le preparazioni destinate ai lattanti”. Si spera in studi indipendenti e si conferma l’empirismo digestivo che effettivamente – quantomeno soggettivamente – non può tradire.
Ecco, al primo posto di questa scala genetica c’è una razza antica proveniente dal canale della Manica, la Guernsey. Ed è lì che Simone ha indirizzato il suo interesse. Betacarotene e betacaseina al di qua, al di là c’è la voglia di rivoltare la Pianura Padana, aprendo le stalle, diminuendo anche la stabulazione libera e concedendo quel pascolo polifita che non basta più nemmeno a se stesso. Il futuro prossimo vede campi essenziali dove la quantità di erbe e fiori è direttamente proporzionale ai giorni di libertà. Fare un latte straordinario di solo pascolo, con la mucca giusta, senza i culoni da ingrasso, senza gli eccessi delle Frisone, mantenendo comunque una buona produzione (tra i 20 e 25 litri al giorno pro capite) è la prima delle sfide da vincere. La seconda attiene la trasformazione. Piccola ed essenziale. Panna, burro e yogurt. In modo da chiudere un ciclo, da permettere agli interessi urbani delle città attorno di ritrovare un parco agricolo, serio e non più solo di marcite e granoni lodigiani sbiaditi nei ricordi di casari che qua e là tagliuzzano la ricetta. Simone e Dama proveranno a recuperare anche quello. Hanno le facce giuste di chi una rivoluzione l’ha già pensata…
AZIENDA AGRICOLA SALVADERI
CASCINA CAMPOLANDRONE
MALEO (LO)