Una città divisa e una città impudica ma senza smacco. Le immagini fastose dei grandi centri commerciali, della puzza di zucchero fritto, delle prostitute in vetrina, della canapa venduta senza prescrizione sono l’ultima forma di pudicizia e di vergogna, una forma di conservatorismo reazionario sotto forma di zoo umano, dove i tamarri di tutta Europa si ritrovano per ribellarsi ad un’autorità che ha implementato il Grande Fratello rendendolo sardonico. E così c’è un rumore di sottofondo e di protesta che rende tutti più uguali, sbavanti e assenti. Traviati dalla forma, han portato in giro quel disumano da cameretta con i poster appesi e i porno dilapidati dalle verruche. La licenziosità di Amsterdam sta in quelle finestre enormi che circondano i canali interni e in quelle serate lunghe e buie dove riempirsi di luci diventa la prima delle mostrazioni, probabilmente la prima e unica vetrina. E così la bellezza, il fascino, la scopofilia, la voglia di cacciare il naso tra le lucine e i divani sono qualcosa di pruriginosamente condiviso. La facilità nordica di spogliarsi diviene il paradosso maggiore di una città divisa, straordinaria nella sua eleganza e nella sua aria pulita e commerciale, nel suo essere buen retiro invernale di diuretici informi dai denti cariati e dalla faccia assonnata. Così mi ritrovo anche stavolta alla ricerca del cibo… di quello vero… di quello prodotto e di quello con una faccia…
Al di là della ristorazione in serra, della ristorazione tradizionale, del junk food, dei supermercati mercanteggianti piatti pronti e acque a prezzi stratosferici, al di là del fatto che il salto dal cibo spazzatura a quello gourmet non ha tenuto conto delle migliaia di sfumature che rendono grande una regione, un paese, una via, al di là di tutto questo, Amsterdam è un luogo preciso dove cercare determinate cose, dove andare alla ricerca di artigiani in mezzo ai capannoni industriali e dove soffermarsi su quello che sanno fare da molto tempo e non su quello che sono stati bravi a vendere agli indici e ai critici di tutto il mondo, tipo il biologico, le verdure e la sostenibilità. Fuffa per coprire il pasto medio dell’olandese terreno.
E così non posso partire che dalla Pasticceria Holtkamp, piccolo e rarissimo scrigno di dolci ben fatti. Senza strepiti, ma con una buona mano, leggera, soprattutto su bavaresi e cremosi, bilanciati e con cioccolati più che a posto, e sulla lavorazione delle nocciole, tostate bene nei pralinati. Stupore degli stupori.
Gebroeders Niemeijer lavora il suo lievito, le sue baguette, le sue micche e i suoi croissant. Stampo oltremodo francese ma pane più che decente. Ecco, la normalità dell’arte bianca termina qui. La concentrazione, e lo capisco dopo poche ore, deve necessariamente ritornare verso i loro classici e la loro storia.
-Aringhe
-Formaggi
-Birre
-Cioccolato
Il panino con l’aringa si mangia con cipolle e cetriolini sotto aceto, nonostante da Rob Wigboldus Vishandel se ne trovino decine di tipi, non bisogna lasciarsi sopraffare dalla novità. Pane da non considerare e aringa come te l’aspetteresti se avessi un’idea di cosa aspettarti. Il pesce del Mare del Nord, ad Amsterdam, è questione di una fede più cieca che quella verso il tonno del Mediterraneo. L’aringa si trova ovunque, anche nei ristoranti di classe… ma non ha senso senza decadenza, senza luoghi oscuri al limite di quell’inferno tra shopping e prostituzione che della città si porta via il decoro…
TO BE CONTINUED…