Azienda Agricola Simonte: conversioni e territorio… Mimmo Coppola

Dattilo. Comune di Paceco. Sale, marmi, meloni e cannoli. Un’economia sfrontata su un piano ortogonale che non riporta a molto se non alla sosta post-prandiale di un pomeriggio afoso e senza fine. Questi sono luoghi coltivati e potetti. Enclavi che sfociano sul mare di un territorio trapanese mai come ora sulla cresta dell’onda. Qui arrivano i pullman della ricotta grezza e si affacciano le speranze di chi nell’agricoltura sta cercando un piano di rilancio esistenziale prima che commerciale. Case tagliate con l’accetta e un lontano ovest che riporta sempre a viali impolverati e guaiti di cani disseppelliti, unici abitanti di una piana soleggiata e invadente. Dietro le mura rimane il sapere casalingo del piatto tipico, del mataroccu e delle mani insemolate. Per il professionale ci volevano tempi, associazioni e persone dedite: Mimmo Coppola e sua moglie Francesca Simonte. Hanno studiato, hanno sbagliato, si sono convertiti e si sono messi sulla strada di un giusto che non li lasci con il sedere nelle frasche. Questa è la storia di un’agricoltura riconvertitasi alla terra e all’interesse. Che tenga l’abbandono siciliano il più lontano possibile.

E così s’inizia presto. Alle cinque di mattina. Mimmo, sua moglie, suo figlio e i dipendenti. È estate, è periodo dello strattu. I pomodori Pizzutelli di Paceco si stanno asciugando da quasi una settimana, la concentrazione e l’appassimento sono ideali. Salsa canonica, nessuna aggiunta (il sale verrà messo a prodotto quasi ultimato), e Francesca che col cucchiaio allarga, su assi di legno in fila, il pomodoro lavorato. Col tempo, quello che gli essiccatoi e i concentratori non permettono più, quello che la clientela non richiede e quello che l’interesse ha già trasformato in anacronismo. Molto oltre Slow Food, senza certificazioni di bontà, con il solo cucchiaino dalla parte di un palato che il Pizzutello non l’ha mai sentito e nemmeno assaggiato. Perché non esiste se non in questi fazzoletti di terreno biologico e in questi filari dove affondare l’apparenza e tirare fuori il profumo verde del fusto. Così, in quel racconto che porta Mimmo ad esondare dai canoni di un produttore appassionato, quel che resta sono le radici di uno sguardo che non accetta le requie del linguaggio.

La tragedia può anche essere salvifica e così per loro è stata, in quella conversione che dal privato di una fede trovata a colpi di badile si è spostata alla terra, a quella coltivata intensivamente, con interessi burocratici che portavano Mimmo distante dalla cura e prono verso l’interesse privato e utilitaristico, e trasformata in estensioni di meloni cartucciari e aglio rosso, di porceddi bianchi e pomodori, di grani antichi e legumi biologici, di sovesci e di tempi lunghi che potessero raccontare la terra meglio di un accordo fatto annualmente e meglio di una vendita senza volto.

La conoscenza con Filippo Drago, mugnaio illuminato, gli ha permesso di creare una collaborazione corrisposta dove tumminia, maiorca, biancolilla e, a breve, farro (ancora da accertare se sia monococco o dicocco) potessero crescere senza ansie di vendita. Una ventina d’ettari cerealicoli moliti a pietra in una filiera che non conosce antitesi. E così per quella poca pasta prodotta dal pastaio di Salemi che sta cercando ancora un giusto mezzo tra straordinaria materia prima e realizzazione finale.

L’aglio di Nubia intrecciato, che è diventato di Nubia nel corso del tempo e delle certificazioni, e che è sempre stato presente nel territorio di Paceco e nelle frazioni più interne, lavorato in biologico e senza nitrati, all’intensità debordante unisce una digeribilità fantastica, una rarità, soprattutto da queste parti da facili presidi e da più difficili controlli. E così l’abbonamento a Slow Food non può prescindere dal Cartucciaro a buccia gialla, affusolato in punta, pasta bianca e soda, gusto dolce ma mai appassito, straordinario accompagnamento per pesci e pomeriggi soffocanti alla ricerca dell’appetito, e base per trasformati alcolici – un liquore e un amaro, con erbe raccolte nelle zone circostanti, strepitoso – e tentativi di miele.

Mimmo è un contadino illuminato con dei retaggi burocratici e una parlata da dimestichezza e sguardo. Conosce tutti, fiancheggia l’egemonia, è un narratore fin oltre il linguaggio, in quell’intercalare trapanese che è sottecchi, sincerità, eccesso, ma soprattutto straordinaria ospitalità, profonda apparenza di un’agricoltura che deve essere dominata per non diventare incuria. Qui, tra meloni, lenticchie e aglio, le leggende dei vignaioli non hanno il terreno per attecchire, qui i polsini sudati devono stringere anche qualche mano di troppo, come quelle volte che la macchina parte da Dattilo alle quattro di mattina e torna a Dattilo a tarda sera dopo oltre mille kilometri in mezzo alla Sicilia più riluttante e più accogliente, quella che concede il vanto dei pochi e le rughe dei molti… senza sofismi e con molta concretezza…

AZIENDA AGRICOLA SIMONTE

VIA I° MAGGIO 27 DATTILO

PACECO (TP)

giordana maria valli

straordinaria e intensa di vita.
Si ho acquistato a natura si di muggio il suo piccolissimo aglio rosso ed ecco riaffiorare in me un gusto perso e finalmente ritrovato. E’ stata cosi grande la gioia che sono stata spinta a cercarti in rete cara Francesca, e vedo e leggo e gusto una tale meraviglia del tu progetto realizzato che posso dirti che infonde gioia alla mente alle carni e al vivente in noi, Grazie e lotta lotta sempre così come hai fatto quando le avversità cercano di scoraggiarti.
buon lavoro e buona giornata che sia di sole o di pioggia feconda
giordana

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