Bagolino. Nella Valle Sabbia dello spiedo, degli uccellini, delle trappole, del selvatico, dei cacciatori e delle castagne. Qui, dove i laghi sono rimasti laghi e non approdi turistici, l’arrivo della contemporaneità è un silenzioso e quotidiano svolgersi delle cose sempre allo stesso passo. A pochi centimetri dal Bengodi (leggasi Trentino), queste diramazioni, tra il Crocedomini e il Maniva, son sempre state terre di straordinari formaggi, di carnevali rutilanti, di zucchero amaro e di alpeggi incontaminati ormai sempre più vezzo di fotografi inesperti alla ricerca dello scoop o della volgarità. Bagolino è un posto remoto, dischiuso tra la nebbia grazie a strutture medievali e tetti rossi. Qui, boschi, brume e acqua rendono il reale una sovrapposizione di stati d’animo. Non c’è molto da indagare, è tutto una curva a gomito e una preghiera per tenere lontano il dirupo. Fare le cose seriamente, in un luogo senza lussuria, è sempre una sottile forma di ritorno. La morte è più festosa della resurrezione. E così, a Bagolino, per prevenire l’oblio, si portano perfino i celeberrimi campionati italiani di Braccio di Ferro, perché l’inverno che arriva è talmente una condanna da non lasciare per strada nemmeno le voci. Qui dentro, senza confini precisi, la comunità è ancora una comunità. Si respira all’unisono, al di là della ricerca economica.
La famiglia Buccio ha una storia atavica simile a quella di molte altre famiglie: azienda agricola, pochi fieni a causa della conformazione territoriale, alpeggio estivo e produzione di burro, ricotta e Bagoss, formaggio che si fa in queste terre almeno dal XVI secolo, formaggio di frontiera della Repubblica di Venezia, dei suoi porti e delle sue spezie. E così lo zafferano (insieme al carnevale) arrivò fino a Bagolino e fin dentro la rottura della cagliata.
La famiglia Buccio ha una storia contemporanea dissimile a quella di molte altre famiglie. L’entrata in azienda del figlio di Mario, Gianluca, ha portato comunicazione e vigore, ha permesso alla filiera rotta di riunirsi in quel passaggio che è ancora un transito, che guarda al centro paese e vede un rustico da restaurare per portare assaggi e cantine anche nel periodo invernale. Perché l’esperienza dei Buccio comincia d’estate in alpeggio nella zona del Bruffione con la produzione, continua in località Gaver dove le donne di famiglia conducono una locanda da degustazione dove trovare i formaggi anche ad autunno inoltrato (almeno il weekend) e termina d’inverno a Bagolino tra azienda agricola, stalle e cantine di stagionatura.
Gianluca e Mario si dividono il lavoro. Vacche brune alpine, due mungiture, pasta semicotta, rottura della cagliata (dove viene aggiunto lo zafferano) in granelli molto piccoli, spurgo e salatura solo a secco. Il legno e il rame rimangono, il fuoco diretto anche. Piccole occhiature estive e pasta liscia invernale. La stagionatura si sviluppa per almeno un anno. Gianluca ha prolungato una forma d’alpeggio fino ai cinque. Ma è nella via di mezzo che il Bagoss rilascia tutto il suo magnetismo, quella forza gustativa che va oltre la pasta granulosa e la povertà della sussistenza. Nei tre anni (invernali per giunta) raggiunge un equilibrio raro. Olio di lino sulla crosta diventata ocra scuro, durevolezza dello zafferano nel finale, una punta di camino, una dolcezza rarissima e soprattutto una masticazione unica, umido, come non mi accadeva da anni di assaggiare. La persistenza bagnata arriva nei cinque anni estivi. Per palati metropolitani non più avvezzi alla ricerca del latte. Un prodotto fuori dall’ordinario proprio perché impossibile da ritrovare. Occhiatura coesa, un po’ di trigeminale ma con dei profumi floreali avvolgenti.
Qui si fa la leggenda, in queste cantine di affinamento, nella volontà di terminare la propria filiera, di perdere soldi, peso e tempo dietro un formaggio che cala, cambia e può anche rovinarsi. Perché il principio di responsabilità è soprattutto un attestato di rischio. E pochi produttori se lo prendono. Gianluca e Mario continuano imperterriti a mettere fieno in cascina e “selvaggina” nel carniere. Vogliono aprire nuove cantine, stagionare e vendere solo il proprio prodotto… comunicare, al di là della reticenza locale, che il formaggio è lo stesso da centinaia d’anni. Perché l’immodificabilità della gestazione non equivale ad anacronismo. Qui i giovani devono diventare anziani e gli anziani ritornare giovani. Non ci sono vie di fuga alla sopravvivenza. Gianluca lo sa bene e sa bene che l’ironia e la curiosità possono portare attriti. Ma sono l’unica forma di civiltà per fare uscire il nome di uno dei formaggi più straordinari al mondo. Non ci sono affinamenti, ricerche, escatologie e divinazioni, non ci sono nemmeno leggende alpeggianti e mistici dal latte dorato, c’è solo la voglia di non perdere una lavorazione e una stagionatura che della montagna si porta dietro l’afflato, le foschie e la fatica…
AZIENDA AGRICOLA BUCCIO MARIO
VIA CONTI 13
BAGOLINO (BS)