Bisogna credere alla cultura delle mani… Fabrizio Zucchi

rose

Ciliverghe di Mazzano. Rotonde e centri commerciali, centri commerciali e ronde, centri e rotonde commerciali. La commercialità del luogo è talmente tonda che il nome non può che essere mellifluo. È tutto così informe da non avere né più centro né più periferia. Si è scelto per le case basse, magari due piani, magari con un giardino in cemento, si è scelto per non mantenere più la logica della relazione. È tutto molto codardo, le vie di fuga, le code, la necessità di comprare, corroborata dalla facilità di trovare, e quella voglia di non lasciare alle persone che la notte per immaginare la giornata successiva. È hinterland, è lo stesso hinterland che c’è ovunque, privato dell’andito operaio, privato del bisogno di coesione e lasciato marcire sotto il sole rovente del cemento e del prefabbricato. E così, qualcosa che viene fabbricato prima non può che essere senza luogo. Non c’è contemporaneità, non c’è futurismo e non c’è nemmeno passato, eccezion fatta per la notabile Villa Mazzucchelli.

Ciliverghe è un luogo per artigiani nascosti, per famiglie integrate che hanno provato a cambiare, tornare indietro e rinnovarsi. Così la famiglia Zucchi, diversi fratelli e una promessa di unione al padre, sparsi tra il laboratorio e la bottega, ha deciso di provare con un po’ di patina estetica l’uscita dall’indistinto.

Fabrizio ha eredito dal padre la capacità e l’abitudine ad alzarsi di notte, produrre pane e rimanere sempre un filo al di qua dell’estetica comunicativa. Quei silenzi panificatori da farina senza vita e miglioratori. Poi ci ha messo del suo, ha incontrato Richemont, ha conosciuto Giorilli e Marinato e ha iniziato a fare concorsi. Il limite dell’artistico, dei campionati mondiali ed europei è il limite dell’evoluzione di un laboratorio. La cultura hanno provato a portarla fuori attraverso un nuovo negozio-caffetteria-bottega gourmet, attraverso l’ingresso di un paio di pasticcieri (uno alla corte di Maurizio Colenghi per anni) ma soprattutto attraverso il riempimento iconoclasta del bancone anti-provincia. Ricco, cromatico e pieno.

Le farine arrivano da Quaglia, Dallagiovanna e da un piccolo mulino a pietra locale. Molto tecniche, estremamente utili alla viennoiserie e all’arte di Fabrizio ma poco interessanti. Il mulino a pietra è a metà strada. Il pane è perfetto, “crostoso” e con una grana grossolana, ma rimane lì nella fragranza, come se fosse sepolto sotto pietre necessarie e non identitarie.

Fabrizio lavora il lievito naturale ma senza farlo diventare una fissazione. È passato dal quello legato, dopo un corso con Massari, a quello in acqua, fino alla gestione d’oggidì, un po’ arbitrio un po’ libertà. Lui deve fare il pane, ha bisogno di rapidità e non di ossessione. Così è per i figli putativi di Giorilli. La biga prima di tutto. Poca birra e lunghe maturazioni. Così anche per la biga a lievito naturale, che ricorda l’accoppiata Perino-Busnelli. I pani sono belli e anche nella semplicità hanno un senso solo: devono arrivare al giorno dopo. Almeno. Fabrizio ha deciso di eliminare le farine con troppo glutine, di lavorare sue miscele e di non giocarsi i clienti nel giro di un pranzo. Così nascono le sue pizze, la gastronomia, i dolci, i lievitati. Varietà su varietà su varietà. La provincia ha bisogno di un po’ di colori e soprattutto di una torta alle rose, con lievito misto, praticamente perfetta. Umida, basso aroma di vaniglia, ben sfogliata ma soprattutto serbevole. Straordinaria.

Fabrizio ha una verve timida, da riflettori girati al contrario. Prende tempo prima di rispondere, non falsifica il suo lavoro e non mente sapendo di mentire. Rimane un passo indietro al palcoscenico e sta iniziando a concretizzare, insieme ai suoi fratelli, tutti gli angoli dell’imprenditoria gastronomica. Il suo laboratorio ha iniziato ad assumere le forme della complessità. Lui, in mezzo alle pause, non ha paura della comunicazione. Ne sente il distacco, come gli antichi panettieri di provincia, quelli per cui non c’era poesia nel parlare del proprio mestiere, talmente bistrattato da non avere più risposte. Fabrizio prende tempo su tempo, si rilassa e mostra il suo mestiere molto al di là delle parole. Coesione, ricordo e impossibilità del tradimento. A volte le saghe familiari si portano dietro il lieto fine. Per i contrasti, è meglio rivolgersi ad altri indirizzi…

 

PANIFICIO ZUCCHI

VIA CONCILIAZIONE 19

CILIVERGHE DI MAZZANO (BS)

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