Brembilla. Un paese dimezzato e diviso, uno di quei luoghi non sufficienti a farsi riconoscere. Il commercio e l’industria hanno trasformato la mezza montagna in pianura necessaria. I fiumi, l’addentrarsi delle valli, i laghi solitari, gli sbocchi verso la Val Taleggio non hanno fatto altro che amplificare l’isolamento estetico di posti come questo. I ragazzi fanno capolino sopra i motorini al di là dei muretti, senza nemmeno il belletto delle sei di pomeriggio e con camicie scucite, blanda imitazione dei modelli senza pudore. Brembilla è le sue frazioni, probabilmente le sue tradizioni, ancora più probabilmente la sua religiosità o le sue funzioni religiose, ha dei tornanti che invitano a fuggire, delle diversità racchiuse nel giardino di casa a rivangare la terra e una bonaccia coatta e di passaggio da cui è impossibile fuggire.
Il fatto di essere di passaggio mi tranquillizza senza esasperazione, mi inerpico per la tipica strada definita dalla meta finale e vengo trovato da un ragazzo in tenuta da giardiniere, Ilario Rota. Poco sotto i trent’anni, diplomato in agraria, ha ripreso in mano dei terreni agricoli di suo nonno e ha provato a metterli a frutto, in quella media montagna perfetta per gli allevamenti caprini.
Due maestri con diversi temperamenti e diverse autonomie. Gianni Mosca e Battista Leidi. Ilario ha imparato e con Gianni ha portato avanti un’unione d’intenti. Ha cominciato a lavorare con oltre novanta capre di razza Saanen. In purezza. Trenta di queste sempre in lattazione (a turno anno dopo anno non vengono ingravidate), estate e inverno. Senza necessità di destagionalizzare. Semplicemente per mantenere la disponibilità di prodotto.
Cereali, fieno autoprodotto, erba e qualche integratore proteico. La produzione di latte è elevata senza una resa particolare. La stalla è stata da poco messa a punto. Legno e cemento, nitore e nessuna puzza ircina. A breve Ilario trasferirà lì anche il caseificio, per ora sotto casa, perfettamente strutturato ma non particolarmente comodo.
Cagliate lattiche e qualche presamica su cui sta provando le forme delle stagionature. Penicillium candidum e nient’altro. Strutture poco gessose e poco cremificate, proteolisi accentuate del sottocrosta. Piramidi, tronchetti elastici nella freschezza e scagliati nell’affinamento, carbone vegetale, poche inflessioni speziate, stagionature in fieri, soprattutto nelle caciotte, potenzialmente eccellenti ma ancora abbastanza indietro nei tempi e nelle voluttà del cliente finale, ricotta nocciolata, robiole perfettamente bilanciate tra crosta, sottocrosta e pasta, senza rotture ma con delle belle e diverse consistenze sotto i denti, yogurt pulitissimo, fermenti selezionati, poche acidità, consistenze non particolarmente estetiche e nemmeno troppo accattivanti (ma deve essere un’abitudine (limite?) delle valli bergamasche quella di dare la tradizionalità di un formaggio pedissequo, limitato sia nelle croste che nelle forme…) e un’accuratezza in bocca invidiabile. La finezza riscontrata da Ilario è la stessa che perdura nel tempo e negli assaggi dei suoi formaggi, anche dopo giorni. Pochi retrolfatti e pochi gusti contrastanti. Non ci sono piccantezze né degradazioni. Il formaggio è veramente minuzioso. Carattere e strada propria: una volta trovati sarà solo una questione di tempo…
Ilario ha la necessaria capacità di distinzione, sia iconografica sia gustativa. Non cede e non crede ai miti. Per ora mantiene vivo un formaggio e un allevamento che non riscuotono quell’interesse che dovrebbe essere la base di un solido presidio sul territorio. Se il prodotto lo fai senza una storia, il principio della difesa è qualcosa di molto difficile da far percepire. Eppure qui ce ne sarebbe necessità, come ci sarebbe necessità del coinvolgimento, generando un mercato e credendo non tanto nelle rughe quanto nella follia di creare un’azienda con tutti i crismi del benessere. Lo sguardo e il lavoro. Questo è il presente per un allevatore qui, in un posto non toccato…
AZIENDA AGRICOLA ROTA ILARIO
VIA GRUMELLO 45
BREMBILLA (BG)