Caprini mantovani in una terra dove tutto è conferimento…Francesca Borrini

viele weiße Ziegen stehen im Stall und schauen

Marcaria, frazione di San Michele in Bosco. Lembo di pianura bagnata da un Oglio senza nascondimenti, in mezzo a quelle statali padane che non hanno altro da offrire se non traffico e qualche fascinosa vista su un sistema cascine vieppiù abbandonato. Piccolo incrocio e si entra a San Michele. I volti scompaiono per diventare eponimi di una civiltà contadina che qui socchiude le porte e pensa ancora che i bar non siano altro che bar. E così l’unica strada finisce in un prato lambito da una villa sanitaria e il fascino angusto dei palazzi, rimasti in piedi al tempo delle forme di cortesia, è quello che resta di un luogo dove le vacche da latte sono state le uniche possibilità produttive per anni, lustri e decenni, fino a quando Francesca Borrini non ha fatto il suo rientro a casa con una laurea in veterinaria/etologia animale, convertendo, insieme ai suoi genitori, il conferimento di latte di Frisone per la produzione del Grana Padano in qualcosa di assolutamente innovativo, per quelle zone, per la pianura ma soprattutto per il tipo di abitudini e clientele chiuse in cucine dai pochi sussulti: un allevamento di capre Saanen e la trasformazione del latte stesso in formaggi.

Parti regolati e qualche capra in lattazione (tra le duecento in stalla) tutto l’anno, in modo da non perdere tempi e soldi. Stabulazione linda e libera, fieni autoprodotti e un nitore particolarmente raffinato. A Francesca le vacche non piacevano, voleva affiancargli un animale che sentisse più suo. Ha guardato la Francia, ha imparato la coagulazione lattica, ha scelto la razza perfetta, nonché più produttiva, per stare in stalla e nei prati stabili di pianura, e ha cominciato ad inserire la propria idea di trasformazione all’interno di un’abitudine al formaggio e alla pietra.

Così sono arrivate le prime caciotte, le cagliate presamiche, quelle forme, dagli erborinati alle paste semi-cotte, che richiamassero dei formaggi vaccini già conosciuti: quindi il grana di capra, la fontina di capra, la mozzarella, il blu di capra e così via. Lentamente, seguendo la fiducia delle persone e il cambiamento dei costumi, è riuscita ad inserire le prime lattiche, le prime croste fiorite e i primi formaggi proteolizzati. Penicillium candidum, mantecature, foglie di porro in crosta e stagionature che permettessero dei crottin e dei cabécou con la capra a sciogliersi, nascondendosi da fiori e ammoniaca. E così, se nel fresco si percepiscono acidità lattiche che ricordano lo yogurt, negli affinamenti mediani arrivano le note piccanti e affienate, belle masticazioni con croste più integre del previsto, nelle lunghe stagionature e nelle cagliate presamiche, al di là della banalizzazione gustativa che tra cottura e fermenti si porta via un po’ di poesia, soprattutto nelle caciotte ben sigillate, i gusti sono corroboranti, ricordano la noce ma soprattutto si abbandonano ad un nitore del palato raro.

Francesca sta cercando, in quella semplicità casearia che deve fare i conti e le lotte con la quotidianità e le foschie di queste terre umide e remote, di trovare un buon compromesso tra la qualità, la lattazione, il numero di capi e una vendita insostenibile per qualunque assaggio, in quella mezza via che trasforma e distribuisce latte simultaneamente, senza cervellotiche espressioni delle sue scelte e con la raffinatezza di essere sempre e comunque al centro del progetto. Tanto basta sulla strada di qualcosa di diverso… almeno esser(ci) lì e ora…

ALLEVAMENTO CAPRINO L’ALBA

STRADA RASEGA 15

MARCARIA (MN)

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