Cascina Lassi: le possibilità del Parco Agricolo Sud Milano… Mattia Zuffada

Cerro al Lambro. Fontanili, corsi d’acqua, bestie al pascolo, aziende agricole e marcite. Forse un tempo. Ora è diventato tutto più chiuso. Si creano enti, si raccontano delle belle storie su cerealicoltura e allevamento, si foraggiano enti creati affinché l’unione possa essere uno sconto sul dovere, si sviluppa la coerenza tra costruzioni e terreni, e si tiene in mano un paese dormitorio con qualche sagrato, qualche cascina e un fiume quasi alla fine. In quel trivio tra milanese, lodigiano e pavese, rappresentazione, più di ogni critica e al di là di ogni attrito, della Pianura Padana attraverso quel fascinoso latente che all’aumentare della temperatura si trasforma in afoso corrosivo, la forma cascina mantiene ancora inalterati certi tratti che l’hanno contraddistinta rendendola unica: estensione, cooperazione, divisione. Qui, sui fiumi, l’industria non ha proliferato perché i proprietari terrieri non hanno mai visto l’orizzonte della propria terra e non hanno mai dovuto togliere il cappello.

La famiglia Zuffada porta avanti la propria azienda in maniera programmatica. Si è liberata dai decenni surrogati dove c’erano le Frisone da Grana Padano, dai decenni floridi della suinicoltura in serie e si è lasciata accarezzare dall’idea del biologico, del benessere e della sperimentazione. 2009, Mattia decide di rientrare in azienda, i prezzi delle bestie, da destinare alla macellazione per la filiera della Dop di Parma, puzzavano di stantio, l’interesse commerciale era un interesse all’ingozzo, i gourmet si sono sempre schermiti dietro finti gusti di stagionature dolci e hanno sempre chiuso gli occhi davanti ad allevamenti convenzionali dove le stalle erano mangimifici riadattati alle funzioni animali. E così da tremila i suini sono diventati quattrocento, Largewhite e Landrace hanno accolto razze meno produttive come la Spot Poland, in macellazione si sono iniziati a portare suini oltre i 200 kg, mentre la trasformazione entrava a far parte della filiera. Non in azienda perché gli allevatori e gli agricoltori devono continuare a fare gli allevatori e gli agricoltori. Mattia ha iniziato a sperimentare anche colture differenti, mais antichi, Ottofile, Storo, Pignoletto in biologico, ha messo a dimora il riso (non in bio) e grani teneri produttivi e selezionati che permettessero una panificazione oltre il folklore del grano di filiera che raggiunge gli 80 di W, qualche albero da frutta e ha tentato di creare una tartufaia da zero, piantando querce e noccioli, e sperimentando per qualche tempo la possibilità di avere un tartufo in zone dove del tartufo non si è mai sentito l’esigenza.

Ha chiuso un ciclo nella semplicità, con un salame crudo fatto bene, solo salnitro, stagionatura in cantina per pochi mesi e somministrazione in stanze recuperate che concorrono al clima e al ricordo, prosciutti e porchette cotti (e affumicati) vanesi ma estremamente puliti, carne fresca da suini più giovani che vengono destinati esclusivamente a quello e un complesso di salumi, tra cui un crudo stagionato a Parma, che non disdegna l’eccesso ma che nel prodotto della tradizione trova il suo valore.

Ma è nell’allevamento che Mattia, insieme a suo padre e alla sua famiglia, fa veramente la differenza. Trovare celle quasi vuote, porte aperte, Spot Poland sereni, un po’ di pascolo primaverile e la possibilità di uscire tutto l’anno, in Pianura Padana è l’espressione di una convinzione colta ma soprattutto filologica. Perché il rispetto di una clientela assopita passa sempre dalla decisione di chi vende e non di chi compra. Il sapido e il salato sono gusti da riattare e da riabilitare. Non in tanti hanno il coraggio di non coprire e non in tanti hanno il coraggio di non incarcerare. Ecco se la provincia milanese si può permettere di fuoriuscire dal concetto di hinterland è perché c’è ancora chi usa il campo lungo…

AZIENDA AGRICOLA CASCINA LASSI

CERRO AL LAMBRO (MI)

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