Makì: da Milano a Fano, il prodigio di un ritorno… Antonio e Paola Luzi

Fano. Ecco dove finisce la Romagna. Il litorale si sposta e lascia spazio alla storia. Fino a qui (con la sacra esclusione di Fiorenzuola di Focara, dei Vigneti di Mancini, delle falesie e forse di un paio di centri storici, quelli di Pesaro e di Rimini), è tutto edifici buttati nel nulla, come se il bisogno avesse preso a pugni la bellezza, macchine posteggiate, stabilimenti balneari, spiagge turlupinate dal beach volley e dai suoi culi in bella vista e mare che si colora di sabbia, lasciando negli occhi e nella conversazione la parola “Adriatico!”, come a volerne sottolineare la bruttezza e la dozzinalità…
Fano ha delle mura di cinta (non senese ndr…), una tradizione, delle bellezze sottese e fascinose, non appare pacchiana nemmeno nella sua mostrazione dei vicoli, dei balconi e delle piazze. É stata romana, bizantina, longobarda e franca, fu possedimento dei Malatesta, contesa dai Montefeltro, è diventata vicariato ecclesiastico, saccheggiata dall’esercito napoleonico, partecipò ai moti risorgimentali e si trovò sulla Linea Gotica. Insomma i suoi abitanti hanno delle facce, dei caratteri e delle espressioni, soprattutto nell’antitesi.
E anche chi è andato a Milano, per studiare economia aziendale in Bocconi (dove la ripetizione diventa ossessione, storia economica, diritto privato, matematica, “Di Martino-Parolini”, intuito nel fottere il prossimo, capacità di fottere il prossimo, mercanteggiare, fiducia del prossimo, intuito nel fottere l’amico del prossimo ecc…), innamorarsi, lavorare in una banca estera, imparare il gelato alla Bottega del gelato della famiglia Cardelli (dove i prezzi sono rimasti al  tempo di Donald Trump e del Dorsia e dove la comunicazione non ha ancora fatto capolino tra camici che odorano di nafta e gelati talmente meticolosi da non essere compresi…) e magari anche per internazionalizzarsi, come Antonio Luzi, ha visto Fano come il futuro e non come il passato. C’è nell’aria qualcosa che lega, in questa città… E probabilmente l’ha capito anche sua moglie Paola, milanese, follemente innamorata delle Marche, dei suoi angoli e dei suoi volti…
Il gelato lo fanno da pochi anni ma hanno solcato una strada, rivoluzionando un modo di lavorare, compassato ed elitario. La storia delle materie prime è la bandiera di tutti i gelatieri. Come se bastassero a se stesse. Tutti millantano la freschezza, la provenienza, la strenua lotta per la sopravvivenza del prodotto… ma ogni tanto bisognerebbe abbandonare l’egocentrismo, come modo d’intenzione verso il mondo, e rapportarsi… magari si capirebbe… che Agrimontana non è Avola… E questo Antonio l’ha capito bene. Ha lasciato perdere la provenienza e ha cominciato a lavorare sui nomi: Antonino Caudullo, Josè Noe’, Claudio Pistocchi, Azienda Agricola Ferioli, la famiglia Lupatelli, Schigi. Ognuno con un’espressione e ognuno con un gusto.
Paola dirige, trova gli ensemble, le consistenze e lavora un po’ sulla fantasia. Suo marito ha un gusto estremo, molto spostato. Lo zucchero è un sur-plus, l’amaro è la maniera che concede al mondo, il suo concetto e la sua barriera.

Granita pompelmo rosa e Birra Extra Omnes: un gusto senza requie e senza compromessi, ma se riesci ad adattarti, diventa un tour di visioni e di dipendenza… assolutamente fantastico e plumbeamente cupo.

La differenza la fa la maestria nel gestire un prodotto, tutto sommato, semplice, come il gelato, togliendo certezze e tracciabilità, regalandogli un tocco (e qui me la chiamo) rapsodico.
“Mio marito è un bancario”, mi dice Paola, ridendo, con quel filo d’ironia che l’ha fatta innamorare. Ma suo marito non l’ho conosciuto (rimedierò presto…), era a flirtare con Uliassi al Festival della Felicità, in quel di Pesaro. Non posso commentare, né corroborare, ma non posso fare a meno di leggere e di guardare. E dopo essermi trovato  di fronte la frase “Antonio Luzi è uno scontroso”, mi è venuto spontaneo chiedere. Paola nega con vigore ma senza stupore. Può capitare. L’eloquio, probabilmente, non è la sua fantasia.
Quella rimane nel suo modo di architettare. La pastorizzata si fa per pochi gusti. Uovo e cioccolato. Il resto è una preparazione mantecata giornalmente, a freddo e senza passare dal via… Un gelato non uniforme, diverso, molto slegato da un’idea di costanza e di pensiero unico, estremamente artigiano come punto di vista sul mondo… che sia la struttura, la resistenza o la tenuta in vetrina, il sacco di farina di Antonio si vuota e le ombre iniziano a portarsi via parte della casta. Parametri sopravvalutati ma oggettivi. Quindi, concettualmente ed eticamente, catalizzanti un’attenzione solo di riflesso, per un oggetto che diventa un soggetto. Per Antonio il gelato è decisivo nell’imporre i propri parametri organolettici. I sensi non possono essere messi da parte. Tatto, olfatto, vista e gusto devono essere affinati, attraverso la centralità del prodotto che deve parlare di bontà e non di perfezione. Il mezzo non può diventare il fine.

E i loro gelati ne sono la dimostrazione. Partiamo dal pistacchio e dalla nocciola. La difficoltà è sempre la suadenza. Gusti sempre presenti, sempre sbagliati, ma con delle note sempre uguali. In molti casi, forti sentori in apertura, zucchero e omogeneità di sapore in chiusura. Bocca sporca, sapore di carta bagnata e salivazione da mono e digliceridi. Qui c’è una straordinaria (mi verrebbe da scriverlo in maiuscolo) pulizia, un sapore di lavoro e un pensiero che ti accompagna sulla strada verso la macchina. Non concettuale e nemmeno istintivo, sono gusti che provocano voglia di ritorno…

Il limone è uno sfusato amalfitano coeso con il profumo della sua buccia. Dolce, ma senza disturbi ed estremamente lungo sulla lingua che rimane setosa, senza la piaggeria della dama di compagnia. Il cantalupo mi sporca e mi ricorda il sole che squaglia i muretti… Il pompelmo lo sposo con l’anguria, raggiungendo un sapore di cetriolo. Paola mi mette in guardia. Io mi schermisco. Lo so. Lo adoro. Mi disseta come nulla… Post scriptum, l’anguria ha la grazia dell’acqua e non la stoppa dello zucchero… 

Sorbetto di limone e sambuco: gusto di lychee, ma con una dolcezza non marcata e un ritorno aspro davvero bilanciato. Un bagno nel lago di Braies e uno straordinario digestivo…

Pinolo e mandorla: resinoso e contraddittorio, il primo. Dubbiosa, la seconda. Non l’ho capita e non l’ho riprovata…

… tutti con un filo rosso, ben in vista, ben riassumibile nel concetto di assaggio. Ognuno coi suoi tempi, coi suoi modi e con le sue giornate umide o secche. Così i gusti e lo sguardo di Paola, durante tutta la chiacchierata. Si stacca e si ridà al cliente, ma non può fare a meno di attivarsi, racconta e dice di aspettare, mi porta un gusto, poi mi dice che dovrei assaggiarne un altro. Senza un percorso, senza una logica coesa ma con quella casualità, così post moderna, e così finemente ordinata… Nel dizionario, cercare alla parola “classe”…

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