Dolci monacali e desertici… Monastero del Santissimo Rosario

Palma di Montechiaro. Tre del pomeriggio. Tutt’intorno, serre sconfinate. Al di là, un mare e un promontorio che definiscono il concetto di esistenza in mezzo ad una vista senza requie e ad una strada che sale senza bene identificare il dove. L’asfalto si fa buche e poi terra. Le case diradano. Le curve s’inerpicano. I rimandi a Pirandello sfociano nelle fiction televisive. Lo scirocco porta mare grosso. La distanza è colmata dai gabbiani che non sanno più per chi garrire. Ottobre inoltrato. Locali che chiudono e paesi che diventano persiane serrate a difesa della salsedine. Il promontorio è un luogo profano, senza magia, con molta terra. Un luogo dove prendere appunti, costruirsi un faro, fermare la macchina e ascoltare le storie della Stidda, immaginando cofani di Mercedes, grotte adibite a solai e latitanti da pasta con le sarde, dolci domenicali di mandorle e lampade a petrolio. L’abbandono è lancinante e lo si fa solo per le suore di clausura. Il motivo sacro rende l’ambiente ancora più afoso. Quel drammatico che traspare dalle finestre e dalle facciate diroccate dei palazzi bianchi si avviluppa senza cedimento. Palma di Montechiaro è tragica nel suo essere immobile. Ha in sé la paura e la minaccia. Di sguardi e di fughe. Porta con sé i giri di macchine a “taliare”, le strade senza uscita, i duomi che tutto tacciono e tutto fanno dimenticare e i percorsi del Principe di Salina che, in una digressione di un paio di pagine sul Gattopardo dedicate al Monastero del Santissimo Rosario, viene narrato in preda alla malia da mandorlato, lo stesso biscotto riccio che Madre Maria Nazarena prepara ancora oggi, in solitudine.

Il dolce in Sicilia è nato qui, nei conventi di clausura. Ogni monastero aveva il suo dolce, aveva la sua invenzione. Da Santa Chiara al Salvatore alla Martorana (ancora oggi eponimo di uno dei dolci siciliani più famosi), dalla Badia Nuova fino al leggendario convento di via Montevergini a Palermo dove si produceva il re di tutti i dolci, Il Trionfo di Gola, ormai orpello per conversazioni da lacrima facile e da setaccio impolverato di farina. Cannoli, cassate e fruttini sono tutti nati lì. Dalle religiose per i religiosi. I laici e i pasticceri sono arrivati dopo, con Garibaldi e l’unità italiana. Ad oggi, il relativismo culturale ne ha lasciati produttivi quattro (anche ad Agrigento, a Mazara del Vallo e ad Alcamo), ancorché rimangano ben evidenti le tracce nelle ricette dei mastri artigiani: testa di turco, nucatili, impanatigghi, cassatelle e pasta reale. Alcuni e più che dimostrativi.

Le scalinate del convento hanno la ripidità del mondo antico. Non sono accoglienti, anzi, tutto è estremamente spoglio. I dolci sono fotografati su una bacheca che ne indica i nomi. Ci sono due parlatori bloccati dalle sbarre e due ruote che consentono lo scambio di merci e soldi. Un campanello e una religiosa bardata con occhiali spessi e dialogo laconico. Tutto lì. Una brachilogia del ricordo.

I dolci sono quelli della tradizione, dai biscotti ricci, compassati, lunghi, con un’aroma di fondo di anguria e una mandorla macinata spessa che alla lunga dà assuefazione al palato, alla frutta di martorana, amara per eccezione, con una piacevolezza iniziale e dei sentori alcolici, dopo qualche giorno, che mi hanno ridato quell’essenza di armellina convinto di aver schivato, dai bocconetti, la sorpresa pomeridiana, quella consistenza che non hai mai sentito e, probabilmente non sentirai più, una mandorla spezzata inamidata e ricoperta, sapori antichi di una Sicilia che manca sempre se stessa, anche nell’evidenza, fino al cedro candito ricoperto di glassa e affiancato da mandorla, con una bagna alcolica fuori luogo e una bellezza sartoriale. Ecco tutto. Niente torte e niente sovraesposizioni. Una monaca rimasta sola, con una saltuaria aiutante (delle otto monache rimaste in clausura…), perché le altre non hanno la vocazione del dolce e della sveglia presto per impastare. Suor Maria Nazarena è convinta che, dopo di lei, tutto sparirà e non ci sarà nessuna successione. Il motivo Palma di Montechiaro svanirà con i suoi retaggi che rimarranno indice di tradizione e di traduzione. Così il tradimento, dietro l’angolo, comporrà bancarelle dolciarie della domenica di festa, azzimate dagli odori delle caramelle alla cannella e di quei mandorlati che, dopo la sottrazione della ricetta con il monito di aprire una pasticceria, si ritroveranno magari in un paese più visibile e più turistico, magari ad Erice…

 

MONASTERO S.S. ROSARIO

PIAZZA PROVENZANI

PALMA DI MONTECHIARO (AG)

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *