E’ questione di punti di riferimento… Luca Pannozzo

Sestri Levante. I vicoli sono quelli di una Liguria che le cartoline riportano benissimo. Una fetta di Milano in trasferta, in mezzo a mercatini finto vintage con cashmere d’importazione, cagnolini a passeggio con il vezzo del ciuffo spettinato dal vento, turismo mordi e fuggi, attratto dai colori più che dai profumi, e molto pressapochismo. Ma se si lasciasse solo la scorza, i cortili vuoti, il porto con le barche ormeggiate, la vista da una vetrata di una casa anni ‘70, in collina, in mezzo agli ulivi e quelle facciate dei palazzi, colorate coi pastelli in porpora, rosa antico e verdechartreuse, e si annusassero di più quegli odori di porto, salsedine e zagare, si riuscirebbe a cogliere una bellezza ormai troppo nascosta sotto una coperta di erre mosce, pantaloni color facciate e facce abbronzate fuori stagione.
In mezzo a questi vicoli, pieni zeppi di gelaterie, con vaschette montagnose di gusti enuance improbabili, spicca per sobrietà una piccola bottega ad angolo.
Il nome non mi persuade, si porta dietro l’eredità dei romanzi a tesi di Anatole France, quei titoli e quelle didascalie che orientano ad un fine, ad una tematica, poco mostrata e molto dimostrata: 100% Naturale.
Il proprietario, Luca Pannozzo, rimane dietro una coltre di noncuranza, umiltà e ricerca ossessiva. Quasi si scusa per non aver del tutto raggiunto quello che si era prefissato.
Ha preso delle decisioni, che prescindono dalla meteoropatia dei clienti, e si rinchiudono in poche e definite tracce: un gelato dolce, dove lo zucchero, nella sua solitudine, possa essere l’unico corollario alla centralità dell’ingrediente, e un viaggio verso una totale conversione al biologico (per ora siamo intorno al 95%), a partire dal latte, dallo zucchero (assolutamente raffinato e non di canna, come maldestramente riportato in poverose guide…), che ha quel sapore di liquirizia tipico della canna, e dalla gomma di guar, unico addensante che si concede (a differenza della maggior parte dei gelatieri che preferiscono la farina di carrube), perché più solubile e con più stabilità nei cicli di congelamento e di scongelamento.
Il suo laboratorio è molto piccolo, c’è una una macchina per la pastorizzata, un paio di mantecatori, uno spazio per la pasticceria, frigoriferi e qualche abbattitore. Pochi metri quadrati, sua moglie a creare le torte, un paio di commesse e lui, a lavorare anche sedici ore al giorno, per cercare di far tornare la memoria del cliente al gelato, come si faceva una volta, con l’adiuvo delle più moderne tecnologie.
Luca, nel suo piccolo di gelatiere chiuso a riccio e molto refrattario ad offrirsi al mondo per mettere in bella mostra il suo ego, le sue capacità e i suoi prodotti, ha costruito un suo percorso, che flirta con l’idea, a volte cade nell’ideologia, ma è sempre conscio del suo solipsismo. Il suo gelato è un dolce e, in quanto tale, ha in sé un’anima barocca e siciliana, che aiuta il ricordo e, nello stesso tempo, un’anima tenue (“il mio gelato è perfetto per concludere una cena al ristorante, perchè permette quella sensazione di leggerezza, così fondamentale alla chiusura di un pasto…”) , grazie alla maniacale attenzione verso la sottrazione degli ingredienti (le lunghe ricette da libro lo inquietano, portandolo lontano…).
Tuttavia, come in tutte le scienze delle idee, ci sono dei vuoti di sceneggiatura.
La certificazione biologica come panacea universale, ogni tanto, sfiora il parossismo e svanisce in attestati, dove il giusto e il buono si perdono (come su alcuni gusti, come il pistacchio, non eccelso di suo e per giunta mischiato ad una sensazione croccante che mi rovina la palatabilità, il fior di latte, dove la dolcezza è fin eccessiva con lievi sentori di latte condensato a sporcare un filo oltre il gusto, e la fragola, rapsodica di suo…)… 

… ma quando si ritrovano, possono sfociare in fragranze davvero uniche, realmente distanti dal gusto trovato in gelati, magari più buoni o più profondi, ma sicuramente più pedissequi… come nel limone sfusato, non di Amalfi ma coltivato su terrazzamenti locali (di una dolcezza raffinata, per nulla aspro, ma con un sapore antitetico nel finale che non lascia l’amaro ma un confortante sapore di gramolata) e nell’arancia calabrese, un concentrato di succo che riporta alla Sicilia… 
I gusti non cristallizzano ma sono vellutati come una granita messinese, con quell’aromaticità, condotta e non trovata, di un arancione o di un bianco che non possono lasciare dubbi… nessuna spremuta di limone o di arancio ma la lavorazione di un artigiano e del suo frutto…
… oppure la nocciola di Josè Noè (trovata per caso) di una partita sfortunata, un filo legnosa al palato, ma con profumi e sapori straordinari… tostati e profondi… o la mandorla, tritata direttamente con la buccia, priva”realmente” di qualsivoglia essenza, poco raffinata ma estremamente compromettente al gusto: qui sì, indaga la fattibilità di un gelato in tutto simile al frutto…

Luca si diverte nella sua professione, ha una passione totalmente selvaggia, pragmatica e con una teoria somatizzata da anni di clienti e di richieste, una comunicazione sanguigna e viscerale, ha delle basi solide, un maestro del passato (a cui diede 10 milioni di lire per insegnargli il mestiere e cha ancora oggi ricorda come i soldi meglio spesi), Barbieri di Carpi, un’autonomia assoluta nella scelta delle materie prime (i fornitori si spremono in campionature che giacciono sulle credenze ad imperitura memoria della strada da non percorrere…), ma probabilmente (e lo dico senza nessuna presunzione…) avrebbe bisogno di guardare al futuro come una meta da raggiungere e non come una tavolozza da imbrattare…. avrebbe bisogno di un nuovo maestro, di un punto di riferimento, di un termine di paragone, per assaggiare qualcosa che non ha mai assaggiato…

GELATERIA ARTIGIANALE 100% NATURALE
VIA XXV APRILE, 126
SESTRI LEVANTE (GE)

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