Soarza di Villanova sull’Arda. Uno di quei luoghi che può esistere solamente qui, in Italia, in questo trivio di province annebbiate, con in mano il bianchino e in bocca il pesce gatto fritto. Uno di quei luoghi bagnati, umidi, segnati dai silenzi più che dai volti, dove la forma cascina ha catturato per sempre la definizione di contadino, di rurale, di percettibilmente antico. Le foto in bianco e nero non sbiadiranno mai sui ritorni alla terra, sulle produzioni di frutta e di salumi, sui caseifici sociali, su quella cooperazione che ci ha resi quello che siamo molto prima che potessimo accorgercene. Qui l’estetica è rientrata nelle case, si è formata attorno ai camini e agli stracotti, al fuoco che ha sempre bruciato e agli arazzi ingialliti dalla stagionatura dei culatelli. Perché per vivere su queste brine, bisogna avere la nebbia dentro, fare l’allevatore/agricoltore oppure il menestrello. È una decisione per non perdersi e per non dare la possibilità al paese di cristallizzare gli stessi volti conosciuti alle scuole medie. Segnati da una vita neghittosa a cercare la costrizione. La bassa padana è un luogo di volti che si ripetono sempre uguali. Frazione per frazione. Qui, chi vuole cambiare, deve fuggire. Il resto è paese.
Azienda Agricola Malintesa. Una strada fangosa aperta da una pozzanghera. Alberi di prugno senza foglie, peschi e peri a sterminata vista d’occhio. In fondo al viale una cascina, un paio di porcilaie e dei filari di ciliegi. I convenevoli vengono fatti senza cerimonia da due cani. Renato Carletti, un carovaniere contemporaneo, taglia corto e s’incammina, accompagnandomi verso una strada direzione Arda. Un angolo, la morte delle sovrastrutture e della razionalità logica, e una casa abbandonata di un’umidità profonda, dentro la terra, con il rumore dell’acqua, in mezzo al folto di un luogo che è la forma economica, strutturale e architettonica principe dell’agricoltura pianeggiante e autunnale. La cantina di stagionatura ricavata da una casa a due piani madida, lacerata, buia.
Penzolano i salami, le bocce di cotechino vaniglia e gli strolghini. Piano sotto e piano sopra. Renato interseca il passaggio della mano a togliere le muffe con il senso d’ingredientistica della concia e con la storia di una persona assolutamente fuori dalla contemporaneità, proprio perché ne è stata perno nel perno della società globale. Ricercatore universitario sei anni a Portland, l’epitome dell’hipsterismo organico globale, dove la bicicletta e il legno hanno preso il posto della spersonalizzazione e Fritz Lang è stato sostituito da Gus Van Sant. Ecco, lì Renato Carletti ha deciso di rientrare a Soarza di Villanova sull’Arda, perché la sua vita era in Italia, tra i campi, in mezzo alla terra gelata, tra i maiali e i salumi della sua famiglia, nell’impenetrabile genealogia, persa tra Cremona, quei campi e un luogo contadino che pensavo mi avesse dato il necessario di memoria… lo stupore, però, ha un non so che di reazionario… e così la bassa padana può diventare sempre più umida e sempre più Po, in quella confluenza parmense che attecchisce soprattutto negli umori…
Basta una porta di legno, un soffitto basso e una luce calda da lunghi divani in velluto, per rendere algida la mia voglia di tecnicismo. Una Berkel, due stanze, culatelli, coppe e salami ad affinare. Il regno della famiglia Carletti comincia là dove finisce il poco tempo. Pentole fumanti e tavole imbandite, salami oltre l’anno e culatelli oltre i due, poche pancette arrotolate, nessun ingrediente che non siano il sale o il salnitro. Speziature praticamente assenti, si gioca tutto in stagionatura. Nel mondo dove l’economia è un orpello, quella coppa raggiunge vette aromatiche, trovate nel tempo e nelle stanze, difficilmente eguagliabili. Un prodotto rifinito, morbido e coriaceo, grasso ma senza filamenti, nessun trigeminale e salatura perfetta. Quell’aromatica, che non ha cantina, è qualcosa che ridefinisce l’anima di un salume. E così per il culatello di nero parmense. La mielosità arriva dopo due giorni, così come la dolcezza, quella che va oltre l’untuosità che riempie le labbra, almeno al primo impatto, è questa fragranza fungina di sottobosco, assolutamente unica. I profumi sono calibrati, lenti, non d’impatto. E anche Renato si stranisce, perch è la prima volta anche per lui. Due anni assolutamente leggeri.
La leggerezza, insieme ad un miglioramento della masticabilità (soprattutto nel fresco), si prende anche i salami. Dolci con quel ritorno di cotechino che nella boccia, cotta per circa tre ore e mezzo, esprime tutta la sua spezia, terrosa, eccezionale.
L’allevamento è ancora a metà strada tra la tradizionalità del cemento e della stabulazione requisita e l’anima della modernità. Un po’ di libertà, incroci tra neri e largewhite, macellazione oltre i 250 kili e un lavoro, quello dell’allevatore, che non fa parte delle sue corde. Ad ognuno il proprio compito, così come il futuro di un’agricoltura cerealicola e il presente di alberi da frutto straordinariamente bilanciati tra la vendita, il tempo di maturazione e il tempo di attesa… in sostanza, il tempo…
Renato è una persona di una bontà profonda, senza necessariamente un luogo artigianale dove confrontarsi, si mantiene sospeso dalla credulità, in quel suo mondo che non vanta e rimane ancora frainteso dai suoi prodotti, così come le isole sul Po, come i ristoranti dove si magnifica l’anguilla e le massaie con il grembiule sempre pieno di tortelli e le calze di nylon marrone coprente… un luogo di una pudicizia padana… ecco tutto…
AZIENDA AGRICOLA MALINTESA
VIA XXV APRILE
SOARZA DI VILLANOVA SULL’ARDA (PC)