L’immagine del pasticciere… Alessandro Busato

BUSATO

Isola della Scala. Bassa Veronese. Rogge e paludi bonificate verso quel mestiere di imprenditore agricolo che esiste solo come signorotto. Ed è lì, nel solco di quella tradizione industriale, e di quello sviluppo tecnologico, che questo paese ha sempre detto no alla cementificazione e al sopravvento di qualcosa di più popolare, di più redditizio e di più contemporaneo. È sempre rimasto nella latenza degli undici mesi precedenti la festa del riso, quella manifestazione che è diventata emblema stesso di un commercio impoverito da piatti di carta e file con lo scontrino. Perché Isola della Scala è uno di quei luoghi sacri dove il riso svolge ancora una funzione sociale, irredentista, oppositrice. E il ruotare attorno, porta fuori, dalla gravità delle propaggini di storia incerta, delle roccheforti di sapidità a cui viene chiesto di uscire dal seminato, con qualcosa di nuovo, di desueto, quasi di festoso.

E così, capita che un pasticciere s’intestardisca a rimanere qui, portando avanti una forma di rispetto molto lontano dal turismo da Palariso. Alessandro Busato ha una storia normale, in una pasticceria tradizionale per dolci che alla tipicità han preferito il frumento. A metà strada tra l’evento che lo impone come offelliere di Isola della Scala, tenutario di una tradizione risicola e mantecatore di autarchia, e una clientela localmente internazionale che vede in lui la fuga dell’illusione. Così il riso, immaginario dolciario di questo lembo di mondo, è diventato una richiesta carbonara. Più o meno.

Il padre di Alessandro viene dalla gavetta milanese. Cameriere di ristorante in un’epoca indefinibile. Il suo ritorno a Isola è stata l’idea di una piccola imprenditoria controcorrente. Bar che diventa pizzeria, tavoli, un po’ di ristorazione e l’acquisto di una bottega dirimpetto il locale dove provare una strada inesplorata, quella della pasticceria. In paese c’era un solo concorrente e le preoccupazioni non erano quelle della qualità…

Alessandro è entrato, poi è andato a bottega a Verona, passaggio a la maison di Lenotre, quando Gaston era ancora vivo e presente, e ritorno in pasticceria. I semi-lavorati non sono stati nemmeno un passaggio insulso di un periodo buio di torte con la panna. La serietà è sempre passata attraverso l’idea che il dolce dovesse avere un sapore originario e non originale. Così, prima di mettere davvero mano ad un ricettario, su imbeccata di Gianni Tomasi, decano della pasticceria veronese, si è trovato a Brescia insieme ad piccolo numero di intrepidi, guidati da Iginio Massari, per fondare l’Accademia, senza capire inizialmente la strada che avrebbe solcato. Acquisito il diritto per garanzia di firma, in seguito ha dovuto comunque superare un esame che lo certificasse. Così, nel ritorno al suo paese, si è portato dietro un po’ di memoria e la volontà di non dimenticare l’ascolto e lo studio.

Alessandro ha uno sguardo corroborante, un dialetto che non si può nascondere e l’allure più consona alle braghe di un pasticciere. Il dolce è connaturato alla presenza scenica. Quando s’investe il buono di mille connotazioni, ci si dimentica sempre dell’istinto senza parola del primo contatto. Quello con una persona di cuore. Un bravo ragazzo si sarebbe detto vent’anni fa.

Il lievito madre arriva con Achille Zoia, legato, lavorato giornalmente nei croissant e e nei periodi di festa nei pandori, nadalin, panettoni e colombe. Perché, qui, nella profonda provincia veronese, al confine con tutte le possibili idee di fuga, il Natale è una pasta lievitata (raramente anche sfogliata ma l’impresa ha avuto i crismi dell’unicità…) a forma di stella, con una biga di lievito di birra, il lievito madre e un’umidità contenuta all’interno di uno stampo. Ma solo il Natale. Perché la concorrenza è forte e il veronese non ha un’abitudine urbana alle paste lievitate. Così il dolce da concorrenza non è il panettone ma la millefoglie. Quella per cui vale la pena sfiorare la foschia dei rigagnoli e mantenere la strada guardando garzette ed aironi, il dolce della disfida e quello del mantenimento di una clientela che sia tradizionale, che chiuda il palato.

Ma l’elezione è una bestia senza cattività. E così l’eccellenza Alessandro la raggiunge con il suo bignè. Dove la coesione delle parti è ineccepibile, dove il cioccolato sostituisce la copertura di fondant e dove la friabilità cede il passo alla facilità. Dallo zabaione alla pasticcera fino alla nocciola, è un dolce molto ricco, senza ricami salutistici.

La pasticceria Busato è una pasticceria della gioia, senza compromissioni con la cultura e nemmeno con la salubrità, un posto antico dove molte cose andrebbero messe al loro nuovo posto, ma dove l’interesse è semplicemente il riposo della festa, senza manierismi e senza obblighi. Perché tutto è semplicemente più umano…

 

PASTICCERIA BUSATO

VIA GARIBALDI 17

ISOLA DELLA SCALA

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