Fare il contadino o vendere ai russi?… Angelo Viscardi

bergamo

Bergamo, città alta. Impossibile? Invece no. Esistono ancora dei centri storici a vocazione agricola, anche se, lentamente, la bellezza dei tramonti, lo sguardo austero sulle mura e sulle fortezze, la natura punteggiata dalle abitazioni, le cascine rimesse a lusso, stanno lasciando spazio all’incoerenza dei cipressi, alla bellezza come gioco universale, agli ulivi di ricchi imprenditori di ricchi oli, alla desaturazione degli orti e degli agricoltori in una bellezza senza tempo, dove anche piscine e caserme della finanza riescono a trovare il loro posto mimetizzato. Qui, era pieno di contadini che lavoravano sopra il petrolio. Che avevano in mano una ricchezza talmente rilucente da doverla solo vendere. Qui, si coltivavano sementi storiche e ortaggi senza prezzo. Gli acciottolati si frammezzavano ai giardini e ai muretti a secco. Ora ne sono rimasti pochissimi. Calce, malte e getto hanno preso in mano l’edilizia. Così, trovare un agricoltore che dorme su riserve di oro zecchino e guardargli le mani sfatte dalla terra, diventa il più laconico degli stupori. Perché?

Angelo Viscardi lavora in quasi solitaria i suoi terreni, tra Borgo Canale e Loreto, scandendo i ritmi delle stagioni e quelli dei cambiamenti che avvengono sotto i suoi occhi. Sua madre è ancora lì e probabilmente si fida di lui, visto che alle provocazioni risponde sempre oltre il sarcasmo, con la lucidità di chi non possiede niente che il proprio desiderio.

Scarole di Bergamo, lattughe, fragoline, piselli, calle, spinaci, cavoli, pomodori cuore di bue, cavolfiori, salvia, porri. Angelo è un ortolano nella primitività del concetto di ortolano: coltiva, custodisce e vende ortaggi. La battuta è il suo dialogo, forse il suo unico mezzo per rendersi conto di vivere in mezzo ad un paradosso. Su queste alture sono rimasti in pochi. Cinque o sei agricoltori, un presidio Slow Food che non è ancora arrivato e dei retaggi che riportano indietro nel tempo quando la gente faceva kilometri per quel microclima dove le verdure crescevano eccezionalmente. La scarola ha bisogno del freddo, va lasciata al gelo e al disgelo. Le serre ci sono ma non si vedono, rimangono solerti a Loreto, nemmeno un kilometro più in basso, dove all’inizio di Maggio le fragoline hanno preso le mattinate di Angelo e di sua sorella e le hanno rese uno strazio di polpastrelli inchiostrati. Venti euro al kilo e una decina di cestini ogni mattino. Non c’è nemmeno bisogno di appoggiarli sui banchi. La vendita è già un effetto. La fatica paga sicuramente il paesaggio, la manualità e la solitudine. Angelo, senza nessun mezzo meccanico, porta avanti i suoi terrazzamenti, così, senza l’evidenza della fatica. Il suo impeto è già una battuta, ma senza doppi sensi, senza insidie e senza livore. Bisogna prenderle per quello che sono: battute. E così, rende la sua giornata in mezzo ai sassi, ai muri a secco, alle tele da tirare e ai prodotti da raccogliere, un filo più leggera. Ancorché basterebbe essere dotati di una vista discreta per, ogni tanto, quando il sudore acidifica gli occhi e le ciglia, fermarsi a guardare la città e le sue luci. Senza compiacimento e senza emozioni. Solo una questione di momenti.

La stagionalità e la fatica della solitudine sono fondanti di colture e prezzi. Qui, bisogna andare avanti e indietro, sempre sulle proprie gambe. Le verdure che non hanno un clima, hanno comunque un agricoltore che conosce la dedizione di un pranzo. E così, quello che rimane, oltre la bontà delle sue verdure, che non sono mai un assaggio ma un’altalena tra il dono e il colpo di fortuna di aver beccato il giorno giusto, l’ora giusta, il campo giusto, è l’assoluta incoscienza di Angelo che, nel suo essere anticonformista al di là di pose, opinioni e cliché, ripassa la sua terra senza nemmeno accorgersi… che sei passato, che sei tornato o che non te ne sei mai andato. Rimanere lì, con i calli nelle mani e la schiena rotta, è così simile al silenzio… che lo lascio e smetto di indagare…

 

ANGELO VISCARDI

VIA BORGO CANALE 80/A

BERGAMO

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