Breno. Fondo valle. Giornata cupa. Inizio dicembre. Sommessamente perso tra le nuvole basse, l’asfalto incomincia a diventare sampietrino e le piazze iniziano a colorarsi di pastello. La Valle Camonica ha uno spaccato al di là dell’industrializzazione coatta che l’ha resa immensa fuori dall’immaginazione. E questi viali, i palazzi, il castello, le chiese, la dedizione di un orario che porta a stare dentro più che fuori ma soprattutto le fontane, la continua presenza di acqua, l’umidità, l’ombra del Crocedomini, la presenza del neolitico, il ritrovamento del solito cereale nel solito tascapane dell’ennesima copia di Ötzi, fanno di Breno un luogo diverso perché senza fretta. Turistico con delle bellezze che riescono a mantenere intatti i silenzi di una natura che non c’è più. O almeno non c’è lì. Perché basta alzare lo sguardo e il territorio diventa prati e alpeggi, diventa la stessa idea supportata da quel luogo e da quei paraggi. Pietra, acqua e stagionatura dei formaggi. I pascoli del territorio brenese sono tra i migliori in Lombardia. Si fa Silter, si tacita il Bagoss e si sofistica il Bagosso. Perché lassù, in quel trivio dove i formaggi bresciani hanno creato la leggenda, l’erba è talmente buona da diventare conservazione.
Quella che segue è un po’ di patina e la voglia di crearsi una pubblicità attorno ad un paese in grado di trasformare il Silter nel Brè, il formaggio di Breno. Perché di questo si tratta: otto allevatori, il presidente della Pro Loco, il fratello di Pedersoli, produttore della salsiccia di castrato, tipicità locale che ha già percorso la strada della fama, e Beppe il barbiere, pensionato di lusso, che lavora più adesso che prima. Ecco. I produttori ci sono, i formaggi anche, il marchio pure. Cosa manca? Le stanze di stagionatura e un affinatore che possa prendersi cura delle forme.
Beppe, in pensione da una decina anni, con una bottega di barba e capelli alle spalle, tante storie mangiate e quel cortile paesano impossibile da decifrare, ne ha passati otto alla corte di Barbara Bontempi per imparare l’arte casearia, quella del fatulì e quella dell’affumicatura, affinata a sua volta da Gualberto Martini, le ha messe da parte e ha deciso di occuparsi lui dell’affinamento. Dove? E qui il vero motivo che mi spinge a Breno. La possibilità di visitare un rifugio antiaereo, terminato alla fine della seconda guerra mondiale, quasi mai usato, scavato sotto le pareti del castello medievale, sotto terra e con le pareti di roccia, trasformato in una grotta di stagionatura umida e dal fascino stordente.
Lì dentro viene conservato il Brè, per alcuni mesi o per alcuni anni, dipende dal produttore, dalle forme e dallo scalzo. Gli acari attaccano, così come qualche gonfiore, ma le forme sono assolutamente a posto. Nessun odore ammoniacale, nonostante l’umidità, assente il primo anno di apertura, sia arrivata improvvisamente obbligando ad un cambiamento nella disposizione dei formaggi sulle scalere di legno. La parte vicino alla roccia è stata protetta, così come le bocche d’aria, e le forme sono state messe al centro della grotta. L’aria influisce ma non secca. Il taglio è morbido anche dopo due anni. Pasta semi cotta, latte chiaramente crudo, profumi straordinari, esce un po’ di lino e molta erba.Perché, almeno per ora, il Brè è e deve rimanere un formaggio d’alpeggio. Un Silter millesimato, quasi un cru di grotta. Qualcosa che ci sia sempre ma sempre poco. Così si numerano le forme e si cerca di farle adottare per venti euro al kilo, lasciandole lì a stagionare. Vendita direttissima per un semi grasso un po’ più grasso della tipicità. Non particolarmente lattico ma assolutamente controllato, un po’ di “cantinato” in alcuni tagli, pulizia perfetta in altri.
Beppe Gelfi sta provando a creare una mitologia in una valle aperta e dispersa. C’è molta favola, un po’ di belletto, molta precisione e anche un po’ di furbizia. Alla fine gli affinatori hanno un ruolo nel mondo, non salvifico, ma dialogico… eccola lì, la parola buona invernale…
ASSOCIAZIONE PER IL FORMAGGIO BRE’
PIAZZA GHISLANDI 1
BRENO (BS)