Andrista. Frazione di Cevo. Uscita dalla Val Saviore. Strade che si rimpiccioliscono, abitati mantenuti, musei iconoclasti, terrazze su strapiombi, pietre estetiche e un silenzio che si è portato via quasi tutti. Creature mitiche che spuntano da boschi di castagno e indecisioni sul verso cosa propendere per mancanza d’intenti. In luoghi come questo, il presente è lento ed è ancora definito dai ruoli sociali. La Valle Camonica impone l’entrata, i formaggi di vacca prendono possesso delle capre bionde e il selvatico si trasforma troppo velocemente in industria. Non ci sono più fini idroelettrici, rimane solo quell’archeologia industriale, anima di una Lombardia ormai dedita al capannone e al prefabbricato come uniche forme d’indecenza e di perversione. Così da sostituire il campanile con i tetti a shed e i tetti a shed con i blocchi giallo canarino e le stazioni di servizio adatte ormai ad ogni esigenza. La valle, da depressione territoriale, si è trasformata in depressione volitiva, dove sono in pochi a rappresentare ancora una possibilità. Ivan e Cristina Parolari ci stanno provando attraverso la famiglia.
Una genia di agricoltori e di pastori: in questa parte di mondo tra Retiche e Prealpi Orobiche, dove la transumanza della “bergamasca” si è sempre spinta fino giù in città, le pecore da carne sono state sempre un’esigenza. Così in tenera età Ivan ha deciso di occuparsi della terra e delle bestie, continuando il pascolo fin dove possibile. Poi la conversione, la voglia di sperimentare e un pungolo che lo stimola verso la razza sarda, da latte. Una stalla in cima al declivio e uno stato brado che per la pecora è oltre la necessità. I genitori a fare il formaggio e sua moglie ad occuparsi dei loro quattro bambini. Poi necessità e tempo incombente han preso il sopravvento e Cristina ha imparato rapidamente la professione di casara, con tutti gli sbagli che fretta e novità possono comportare. Un assaggio casuale e la provvidenza di Gualberto Martini in caseificio. Una giornata insieme per dirimere e provare forme del latte semplici e senza una reale tradizione, che hanno portato ai due formaggi di oggi: una formaggella a latte intero, breve affinamento, pasta bianca e lieve occhiatura e una cremificazione che comincia dopo i quaranta giorni (la pecora per uscire non ha bisogno di tantissimo tempo), e un pecorino a pasta semi-dura e semi-cotta, dove gli acidi grassi che veicolano l’”animale” diventano straordinari sui cinque/sei mesi, prima dell’arrivo del piccante. Ricotta grassa, piacevole e ben coagulata, non particolarmente cremosa ma dai retrogusti raramente lombardi.
Sono storie familiari che dalla famiglia traggono fermezza e coesione, dove ad ognuno corrisponde un ruolo che va vissuto attraverso il tempo del negozio e il tempo dell’ozio. Quel tempo, una volta fondamento che andava negato attraverso l’opposto (cit. suoceresca), da rimettere in circolo per trovare una coesione tra qualcosa che sfugge e giovani che la necessità non trasforma più in contadini, è il tempo che rimane negli occhi e nell’unione. In quei pranzi confidenziali e in quell’ospitalità che risiede ancora nel focolare e nella donna, la stessa che lavora e la stessa che cura. La reggenza è un merito poche volte circoscritto nel presente ma che rimane nel ricordo come la più fiera delle rughe. Un’estensione che rende un’azienda agricola uno degli ultimi avamposti della verosimiglianza. Il latte di pecora, nel rigoglioso nord, è una rarità nella rarità, qualcosa che tende all’unico… senza motivi particolari e senza comprensioni che non vadano oltre la tradizione (vacca) e la scelta (capra), un limite territoriale per cui non si è mai cercato a fondo. Ecco, Ivan e Cristina mantengono una strada nuova attraverso un’ancestrale che è pascolo, fuoco, pastorizia e pochi strumenti…
PAROLARI CRISTINA
VIA RISORGIMENTO 4 ANDRISTA
CEVO (BS)