Orvieto. Una delle tante frazioni di un territorio che non so, francamente, se abbia una fine. Scendo e salgo. Vedo il Duomo in lontananza ad ogni curva a sinistra. M’immetto per una strada in mezzo ai rovi. Molto fosca. Che poi s’apre. Mi ritrovo per una strada in mezzo alle more. La tentazione è quella di fermarsi. Che chiaramente viene assecondata. Lo sterrato è quel che è. Per i fondi bassi un tormento. All’improvviso s’aprono campi sulla sinistra e spunta in lontananza una tenuta in pietra. Realmente distante e lontana dalla moda dell’agriturismo e da un’accoglienza quantomeno smaccata. Ancorchè si potrebbe migliorare e molto…
Caseificio (nei mesi estivi in dismissione), stalla con pecore di razza appenninica e di razza sarda (la genetica non è mai stata un pallino di Danilo, gli incroci sono all’ordine del giorno) che producono, in centocinquanta, cento litri di latte al giorno e riposano almeno quattro mesi all’anno (in cui il formaggio non viene fatto…), campi di trifoglio rosso, avena e loietto, principale alimentazione degli animali (aiutati solo per i brevi periodi invernali, di freddo o neve intensa), pascoli all’intorno, boschi coperti e quel casolare in pietra. Ecco la mia vista con l’adiuvo razionale della spiegazione di Francesco, figlio di Danilo, assente giustificato e riapparso sotto le vesti di narratore telefonico (le eccezioni a volte si sottraggono al dispotismo…).
A latere ci sono gli olivi. Il ricordo non aiuta la mia vista. L’olio assaggiato sì. Spremitura di alcune varietà tipiche dell’Umbria: moraiolo, leccino, olivella e frantoio. Qualche monovarietale, il resto blend. I sapori di quest’ultimo sfiorano la particolarità: sì piccante, ma non pungente, ha qualcosa di erbaceo e di amarostico. L’eccezionalità, a sentir Francesco, si raggiunge nel cru di Olivella. Cinquant’otto alberi secolari che garantiscono pochi guadagni ma altissima qualità. Un oliveto a remissione dai sapori avvolti, ad oggi, nel leggendario di una disfida portoghese a cui hanno mandato quest’olio a sbaragliare cavalieri e diffidenti…
Danilo si presenta con una mise affossa-clienti. Accento spiccato e voce impostata, come mi sottolinea Francesco nella sua disamina degli approcci minimalisti del padre nei confronti del prossimo. Pantaloncino, petto nudo e un fascio di muscoli di un’elasticità impressionante. I discorsi, l’accoglienza (che non è stata malaccio…), la comunicazione, la pubblicità, la filosofia e il gusto sono mondi aperti, dove non bruciano libri, ma lontanissimi dal microcosmo di Danilo. Le sue mani esprimono il dovere di fare l’allevatore. Quello che non può essere se non con e attraverso i suoi animali, la cura e l’esigenza della vista. Gli manca il respiro solo al pensiero di abbandonarli… così inizia a raccontare quello che ha fatto gli ultimi trentacinque anni, cioè il fattore. Perchè di questo trattasi: suo padre lo voleva muratore, lui, ad un età indefinita ma precoce, decise di dedicarsi alla transumanza e alle forme del latte. Anzi, alla forma del latte. L’unica risposta alle sue fatiche, al suo gregge e alla sua vocazione. Un pecorino veramente straordinario.
Caglio variabile. C’è quello in pasta, riservato per l’ordinario e per i controllori e c’è quello naturale, ricavato direttamente dall’abomaso. Per pochi intimi e richiedenti. Il sapore del formaggio cambia, ma soprattutto cambiano i legami con il passato, si sviluppano sotto forma di ricordi e profumi. Probabilmente quelli più banali di un tempo che non c’è più. Premitura a mano, stagionato mesi in una cantina naturale, occhiatura appena accentuata, colore biancastro con fragranza profonda di latte di pecora, masticabile senza gesso con un sapore che abbandona da subito il delicato per innestarsi su note profonde di pascolo.
La degustazione nasconde ancora qualcosa. Un canovaccio cela un prosciutto di cinta senese (prodotto con i loro maiali). Grasso unico, conservazione del gusto in bocca migliorabile, forse una nota troppo sapida…
La fretta mia, il periodo di scarica e l’assenza di Francesco hanno concomitato a una conoscenza pedissequa e un filo leggera, senza lacrime agli occhi, ma senza nemmeno l’approdo ad un’essenza. È stato un momento fugace, composto da un pecorino strepitoso, da una ricotta mancata che Francesco definisce eccezionale nella sua cremosità (senza aggiunta di latte) e nella sua pinguedine, da un allevatore che ha preferito le mani alle inclinazioni e ai colloqui attitudinali e da una telefonata stupefatta dalle parole “io è da quando ho cinque anni che sono sicuro di voler fare l’agricoltore”. Di più non so…
AZIENDA AGRICOLA BASILI DANILO
LOCALITà LA PADELLA 38
ORVIETO (TR)