…Treno fino a Matsumoto dove c’è uno dei tre castelli più importanti del Paese. In Giappone il tre è maniacale perfezione e così ci si adegua, le ali del corvo di Matsumoto si allungano sotto le nuvole, i fiumi danno un’aria rilassata alla città e la soba (zaru e kake soba da Nomugi) di grano saraceno è strepitosa: un’ottima propedeutica alle Alpi.
Che arrivano rapidamente, con i loro macachi, i loro orsi, le loro piantagioni di banane in serra, gli incredibili onsen che tutto bollono con acque sulfuree che sgorgano in mezzo ai paesi, con le case in stile gasshō-zukuri, emblema di povertà contadine, di distanze siderali tra un’abitazione e l’altra e di maniere edulcorate per tenere lontane le tempeste di neve. Superata la notte di ricreazione, si scorgono in lontananza le prime case di Takayama, un gioiello nitido e assolutamente imperdibile.
Famosa per il manzo Hida – marezzato simile al Kobe, con meno propaganda attorno, prezzi comunque inaccessibili e qualità che spazia dal ferro al fegato fino al grasso che cola sui vestiti, tutto condito da assaggi, yakitori o sushi di carne -, Takayama è una piccola Kyoto con i templi a ridosso della collina e del cimitero, una zona di case di mercanti risalente al periodo Edo, fiorente e assolutamente fuori contrasto, snake hunter fisicati – con serpenti velenosissimi, all’interno di bottiglie d’asfissia in macerazioni alcoliche, che, a parole sue, dovrebbero rendermi qualcosa di simile tra Rocco e Zeus e che mi fanno comunque addormentare prima delle 21.30 -, i mercati mattutini lungofiume dove la frutta, il miele e la verdura continuano a costare cifre abnormi, cantine di sakè precedute da palle di foglie di cedro (Hirase Shuzo) dove saccarificazioni e fermentazioni si sviluppano in versioni estreme, ma soprattutto cibo di strada nelle sue forme più azzimate: goheimochi e mitarashi dango da Fukutaro, dove il riso viene dalla loro azienda agricola e dove si annusano ancora i particolari, e la Hida in tutte le sue propulsioni povere e sofisticate, nigiri, crocchette, burger, buns. Ma Takayama è anche città di quartieri minuscoli e nascosti dove circensi dal grilletto facile si trasformano in cantanti e grigliatori, di gambe messe serenamente sotto un tavolo e di famiglie storiche di pescatori (Matsuki Sushi) che in mezzo alle alpi hanno optato per l’affronto ittico più buono di tutta la regione, con il pesce che arriva da Toyama e da Kanazawa. E proprio qui, dopo un viaggio in mezzo alle montagne, cambi di treno al volo e fiumi assoluti, approdiamo alla ricerca di quello che, col senno del poi, si è rivelato il mercato del pesce più interessante del viaggio. Omicho è l’esaltazione del mare nella sua imponenza: dai sashimi di tonno (akami magoro la parte più magra, chutoro la seconda gradazione e toro/otoro la ventresca) al suo occhio, dal pesce pilota alle varie tipologie di crostacei, dai calamari fino ad ostriche di dimensioni smisurate, per una rigorosa assuefazione marina. E se le ripetizioni non bastassero… il sashimi di granchio da Mitsuo Yamashita o da Komatsu renderà tutto più convincente.
Kanazawa è una città sfumata, dove i grattacieli si alternano ai quartieri dei samurai – da Murakami si possono assaggiare un’infinità di raffinatissimi wagashi (la pasticceria per la cerimonia del tè) che sanno tutti (ma questo in tutte le pasticcerie nipponiche) di fagioli azuki e sciroppo di glucosio e allungano la masticazione del riso glutinoso all’infinito – e alle chaya delle geishe, e dove il Kenroku-en, uno dei tre giardini più belli del Giappone, è veramente uno dei tre giardini più belli del Giappone e anche del Giappone e provincia, con il suo clima rilassato, i suoi inservienti che scopano i letti dei ruscelli, gli haiku di Basho – modello di scrittura e lacrime -, le case del tè, la perfezione dei ponti, la contemplazione delle ninfee, il pino di Karasaki e le pagode a rendere tutto più evanescente.