Bolgare. Tra l’autostrada e la strada statale. Ricordi da piantagioni di gelsi. Il granoturco e il frumento hanno lascito spazio all’industria e a quell’artigianato da rotonda che ha sempre minimizzato il ruolo del capannone. Paese placido con ritrovo mattutino e un susseguirsi di incoerenze al di qua e al di là del contemporaneo. Quella che è vista sulla Valcalepio è molto meno di un fine settimana, il resto si nasconde nei cartelli stradali dietro qualche sparuta vigna e dietro qualche rotonda che è lì per aprire e non per chiudere. Sì perché la pianura conforme diventa in un attimo polvere territoriale e frutteti sotto vista, in quel concorso esistenziale che ha reso l’agricoltore più forte e con più possibilità. L’assenza di assuefazione visiva ha messo in circolo delle idee e delle rivoluzioni. E il perno è quel Romano Micheletti, alfiere del buono e del giusto, e simbolo di una frutticoltura diversa, più pregna.
Qui c’è una lotta integrata necessaria all’urbanizzazione. La geografia antropica è un momento di giubilo del sabato pomeriggio e una cartella esattoriale il lunedì sera. Così si poteva fare un’agricoltura che fosse sostenibile soprattutto economicamente. Romano è partito a metà anni ’80, affiancando al proprio lavoro fuori dalla terra, la coltivazione del kiwi. Unico nella provincia di Bergamo. Gli spazi erano quelli che erano e i tempi anche. Lentamente l’idea. Comprare o prendere in locazione appezzamenti ma soprattutto coinvolgere quegli agricoltori restii al secolo, convincibili sull’ordine di grandezza del soldo: il mezzo euro o le mille lire in più e il ragazzo da pagare in meno. Ma il tempo non è mai stato galantuomo. E così la validazione del risultato restava l’unica merce di scambio. Le prove, i test e gli errori erano tutti a carico di Romano. Lui testava la frutta e gli altri seguivano i dettami. Semplice e dispendioso. Ma chi controlla la cultura controlla il futuro. E così i campi sperimentali sono stati l’avanguardia padana all’efferatezza del luogo.
Gli ettari coltivati sono giusti, la coltura non è forzata e la maggior parte della frutta viene raccolta con il metodo “pick your own” (sostanzialmente fai la tua scelta). Prezzi contemporanei, anche elevati ma assolutamente non cari. Molto lontani dall’intensivo pugliese o dai falsi d’autore del centro Italia. Qui si paga la qualità, il ritorno alle campagne, la scelta e la domesticazione del selvatico.
Romano ha un paio di filari di albicocche e un paio di filari di ciliegie dove testa annualmente una trentina di varietà. Da quelle americane a quelle antiche. Cercando profumi, sapori e consistenze. Dalla Pellecchiella del Vesuvio alla Valleggia fino alla Ferrovia. Dalle precoci fino alle tardive. Gli alberi vengono saccheggiati nell’assenza di tempo, mentre le analisi organolettiche, sensoriali, di sensibilità al cracking, di serbevolezza e di persistenza vengono protratte nel tempo. Senza fretta. Ci sono le ciliegie con il loro sapore, come la Kordia, rosso intenso e particolare dolcezza, le albicocche belle e acide che attraggono coltivatori multiformi e poco ingegnosi e poi quelle di straordinarie precocità che in bocca sono come una prima volta. Qualcosa di magico. Al di là del raccoglitore e dell’epigono di Neil Young che, nel campo affianco, sta facendo l’orto per scrollarsi di dosso le ubbie settimanali.
I kiwi vengono raccolti direttamente dai Micheletti perché, maturando in un breve lasso di tempo, hanno bisogno della sincronia e del tempo giusto. Si aspetta novembre, con il rischio delle gelate, per alzare i gradi Brix da 6 a 8 e avere un prodotto che non ha nessuno. I tempi di attesa se li possono permettere in pochi.
Romano, insieme al figlio e alla compagna, ha dato un po’ di bellezza ad una pianura nefasta, imbruttita dalla mancanza di tempo e dalle nefandezze di un urbanesimo senza volto, e questo è talmente abbastanza da avere pochi eguali. Nulla più se non un frutto buono senza la benedizione dello sguardo…
IL FRUTTETO MICHELETTI
VIA VERDI 1
BOLGARE (BG)