Il vitello sanato, una forma disillusa di tradizione…

sanato

Viverone è un lago diviso da tre principi, il nascondimento dell’autostrada e dei boschi, il turismo lacustre che non lascia scampo e la dolcezza di colline coltivate a kiwi e vigneti. Come prolungamento dell’Erbaluce e di una vinificazione sepolta da anni dissidenti che non han portato altro che uno stato di cose in transizione, questi luoghi han resistito al verde scuro. I boschi sono stati messi in riga dagli allevatori e dai raccoglitori di legname, da quelle persone che hanno invaso con circospezione e costanza, che han fatto della natura un mestiere senza necessariamente tradirla. Sono sentieri con poche indicazioni e ancora meno strutture recettive. C’è quell’unico ristorante che ha visto sposarsi, cresimarsi e battezzarsi tutti i membri delle famiglie agricole. Perché qui la vicinanza è più che fondamentale e l’abbandono non è nemmeno un cenno di resa. 365 giorni all’anno al lavoro. Perché gli animali non aspettano il decoro.

Eppur lo stupore m’invade.

Perché questa vita, solitamente, è riservata agli allevatori di vacche da latte, quelli per cui l’asciutta è troppo corta e la doppia mungitura una quotidianità senza ritardi. Ma qui non ci sono caseifici e nemmeno formaggi. Qui ci sono pochissime stalle che ancora portano avanti la tradizione, oltre la passione, del vitello sanato (da latte) piemontese. Senza compromissioni.

“Vuoi vedere una cosa che non esiste praticamente più?”

“Certo Alberto”

E così Alberto Mosca mi ha portato fuori da una realtà che non esiste se non qui. O quasi.

Il Casale Veneria è il regno della famiglia Tarello che ha cercato di rendere contemporaneo un allevamento fuori logica… quantomeno inaspettato. La chiacchiera porterebbe ovunque, all’agriturismo, all’allevamento di maiali, alle botti del vino e alla bellezza di quel granoturco piantato nella diffidenza di fare ancora le cose per bene, ma siamo richiamati all’allevamento dei vitelli.

Stalla classica. Stabulazione libera. Da una parte le vacche e dall’altra il fromentino manto del vitello appena nato, di fianco il vitello sui due mesi e così a crescere, fino al bianco Piemontese sui sette/otto mesi pronto per la macellazione. La differenza sta tutta lì. Le vacche vengono munte due volte al giorno e con il latte, attraverso un simil-biberon (e qui siamo ancora nella “normalità”…), il vitello viene svezzato. Ecco, qualcosa di estremamente simile alla cura. Qualcosa che mantiene le carni di un candore raro ma soprattutto di una morbidezza fuori da qualunque logica. Qualcosa che non c’è più. Latti in polvere e radicalismi contemporanei di frontiera ci hanno lentamente privato di tutto ciò, sotto lo spauracchio dell’unico dio economico o della condanna morale azzimata da moralismo necessario.

E così il tempo della mungitura è il tempo della quotidianità. E non ci sono formaggi da trasformare e cagliate da scaldare. È tutto lì. In quei parti che si susseguono negli anni, in quelle vacche mantenute per provvedere ai vitelli e in quei costi che un allevamento del genere deve assolutamente prevedere. Questo tipo di cura non è standardizzabile, non può essere replicata, non ha un’eguale a livello industriale, non esiste una massificazione. Dà un prodotto finale straordinario, al di là di qualunque mellifluo, si mangia letteralmente senza sforzo e ha un sapore delicato ma pieno.

È una questione di famiglia e di missione. Federico Tarello, sua moglie Franca, i suoi figli Luca e Fabio, hanno creato un luogo reale. Fanno la loro Paletta cotta, straordinaria per inciso, con un’umidità rara, una speziatura controllata e un profumo di carne che non ha bisogno di mistificazioni, producono il loro vino, Erbaluce e passito vinificato in rosso, e quella carne che ha bisogno di un macellaio che la rispetti e la valorizzi…

… ed è sempre una questione di famiglia…

Cavagnetto è un’azienda agricola dirimpetto. Renzo e Luca sono padre e figlio. Coltivano la vite, il kiwi, hanno un allevamento semi-brado di manzi e manzette da carne e tengono da parte un paio di follie al mese. Un piccolo allevamento di vitelli da latte con un’attenzione alla fisiognomica esaltante. La vocazione è quella di allevare bestia per bestia. Affezionarsi, utilizzare il biberon e in alcuni casi, dove l’abitudine si lega alla presenza di un’unica persona svezzante (imprescindibile per la riuscita dell’allattamento), il dito immerso nel latte che i vitelli utilizzano al posto della mammella. E la macellazione deve essere un’attività lontana, senza occhi, fatta da un altro. Quei vitelli sanati hanno il capriccio dell’alimentazione, della cura e la distanza esautorante della fine.

Qui l’allevamento è veramente fondante, è un umanesimo disincantato e necessario, è quel passaggio che dona al borghese una tenerezza e una flessuosità appagante, a cui abituarsi è un destino di solitudine. Rarissimo trovare qualcosa di simile anche in una terra di grandi allevatori e grandi macellai.

Cavagnetto e Tarello sono la stessa faccia della stessa medaglia, il resto è oscuro, è fatto di stalle e di visite giornaliere e imprenditoriali. Per fare il Sanato ci vogliono famiglia e follia.

O tempora, o mores. E il presente si è portato via tutto…

 

CASALE VENERIA

e

AZIENDA AGRICOLA CAVAGNETTO

VIVERONE (BI)

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