Genova. Castelletto. Quell’altura immaginifica che apre la città alla vista come fosse un luogo di riviera, chiudendola dagli olezzi lancinanti che l’han sempre definita molto più di qualunque prospettiva, di qualunque politica e di qualunque economia. Le persiane verdi acquisiscono altri colori come per darsi un tono, una ritualità, una copertura del rivo, quel modo un po’ altezzoso di mettersi sopra un fortilizio aspettando di essere rimirati, magari in una giornata di sole, con un retro-sguardo che possa definire la bellezza solo attraverso il bello, lasciando da parte quel fascino sempre ricercato quando si parla di Genova, di antico e di porto. Questa è una città di quartieri, assidua nelle sue divisioni dirompenti che tracciano delle linee asimmetriche e marcate tra zone complementari e confinanti ma assolutamente lontane, nello stile, nello sguardo e nell’architettura. E l’accento non sempre riesce a sussumere tutto sotto lo stesso tetto. Qui ci sono belvederi inaspettati e il fruitore può tornare ad essere spettatore non guardato, un voyeur di una città fatta di giudizi e pregiudizi. Dalle mulattiere alla circonvallazione. E che meraviglia se ciò che resta della tradizione è spiegato lentamente dal cibo e da una clientela sempre uguale a se stessa. Anche in un quartiere ma soprattutto perché in un quartiere.
Il Forno San Nicola è la rappresentazione di una città che di forni si nutre al di là di qualunque volubilità. A metà strada tra la focaccia e il correlativo oggettivo.
Marco e Luca Oberti vengono da una storia di redenzione, chiusure e nuove aperture. Marco racconta il loro percorso a metà strada tra sofferenze e maniere. Le aperture di focaccerie in centro dove il destino si è trasformato in una barzelletta, la vendita del forno comprato insieme e il rientro di Marco, dopo un’esperienza nella bottega dello zio, nel panificio messo in piedi da suo fratello in Corso Firenze, che alla qualità non riusciva a corrispondere la sostenibilità. E così Luca e Marco, tra accordi e dissapori, hanno deciso di dividersi il tempo e di sostituirsi nell’evoluzione di una continuità panificatoria che non è mai mancata.
Punto di partenza: il forno è aperto 365 giorni l’anno dalle 6 alle 21. I dipendenti hanno preferito, nei tempi bui, la salvezza allo svago, portando avanti questo panificio, tradizionale e concorrenziale, che ha il diritto di cittadinanza su una delle migliori focacce della città, nonostante il futuro. Perché Marco sta provando la sua via sulla lievitazione naturale, sui pani grossi, su farine un po’ meno raffinate, ma con la certezza di dover accontentare una clientela abituata a delle evidenze inscalfibili, in una panificazione tradizionale che è sempre stata quella e continuerà così. Quindi implementare le pietre e le integrali in quelle focacce leggendarie che ungono le dita e fanno smettere di parlare, non è una questione attinente ma eccessiva, di quell’eccesso che non risponde più né ad un bisogno né ad un desiderio. E così ci vogliono stenditori professionisti e panificatori che sappiano mettere le dita dentro la pasta, che permettano – dopo le 20 ore passate dall’impasto (diretto con una bassissima percentuale di birra) prima di essere infornato, tra temperature perfette, maturazioni enzimatiche e oli extravergine morbidi – una dialettica “pasta morbida/crosta croccante” perfetta. Un prodotto mattutino e un rompi pasto. Il tempo non aiuta e non permette. La focaccia genovese è un tutto-subito corroborante. Ad affiancarla una farinata assuefacente, una focaccia tipo Recco ma senza il dovuto (per scelta) croccante, i due tipi di pandolce, i canestrelli, una pasticceria fresca da rimettere in piedi, dei lievitati su una futura rampa di lancio, buoni pani quotidiani (ottima la rosetta/michetta, contestuale al suo dovere di contenitore) e dei pani a lievito madre, tra segale e mix di cereali, da rivedere a partire dalle farine e dai mugnai. Acidità controllate ma senza una reale esigenza e una lunghissima conservabilità. Il lavoro è una buona partenza ma la fatica non sempre è la soluzione di tutti i quesiti…
Marco è una persona vulcanica, un po’ guascone un po’ sangue e sudore, racconta, spiega, ammette, ascolta, è un fiume in piena di emozioni e sensazioni, la sua professione ti entra sotto pelle, sventra i luoghi comuni e s’inchioda nella memoria, come la sua focaccia, che nella semplicità ravvede quel cibo di strada che diventa cibo per tutte le ore, per tutte le stagioni e senza divisioni di classe. E così il commiato diventa già nostalgia… anche e soprattutto dopo la meno canonica delle teglie intere condivise ed egoistiche…
IL FORNO DI SAN NICOLA
CORSO FIRENZE 53
GENOVA