Il futuro del gelato milanese è nelle mani di una silfide… Vittoria Bortolazzo

Milano. Tra Porta Venezia, Centrale e Corso Buenos Aires. Il nuovo angolo dei viziosi. Tra parcheggi impossibili, vicoli non adatti al transito e sensi unici immanovrabili, continuano a crescere luoghi gourmet senza accenno a meditazione o buon senso. Questa rinnovata zona, alle spalle dello Spazio Oberdan e del tamarrismo del fine settimana, attrae pensatori del gusto e artigiani in rinnovamento, nel mito della ritualità e della facilità. Perchè uno esce e l’altro entra, creando convergenze, snodi e connessioni, rilasciando quel po’ di radicale che ancora presenziava nelle tavole e tra i palati. Ormai la chiarificazione del gastronomo è giunta a temperatura. La caseina si è accumulata sul fondo, il gusto si è pacificato e le richieste hanno iniziato ad emanare, da un bel po’, olezzi di Identità.

Così, per oltre un anno, non me ne sono più interessato. Colpa di un gusto venuto male e di un paio di considerazioni proterve e lontane dall’artigianato. Ma la redenzione è vittima degli uominini di fede…. così, per caso, leggo un trafiletto idiota e così m’ispiro…

Via San Gregorio. Piccola bottega dedicata al gelato. La prima volta, oltre due anni fa, ci arrivo per colpa di Andrea Soban (fidarsi è sempre un monito di fierezza…). Gelato Giusto. Una vacca frisona stilizzata a simboleggiare il tutto. Due persone: Vittoria Bortolazzo e il suo alter ego sud americano che la sostituisce in quelle ore che lei dedica a se stessa e al suo tempo libero, ribaltando i dettami della comunicazione e del rapporto patinato con i clienti. Quello che rimane è una piccola vetrinetta con una quindicina di gusti e la tentazione di mandarmi a quel paese.

Nemmeno dieci minuti e il pistacchio di Bronte è diventato una necessità. Non di gusto ma di verità. Nessuno ha ecceduto in improperi… ma ironia e sarcasmo si sono portati a casa “inscalfibili” convinzioni.

Gelato ottimo, materie prime incerte. Questa la prima impressione. Chiedo.

I lasciti sono quelli della pasticceria. Cordon Bleu e Ladurèe a Londra ed esperienza da Lenotre a Parigi. Tutte in un lasso indefinito di tempo, compreso tra la nascita e il “così giovane?” di mia moglie. Ecco le basi, ecco il perchè di un gelato non assuefatto a regole, bilanciamenti e rotture del capello in quattro.

Il concetto è l’espressione dell’espresso. Ogni giorno il banco necessita la freschezza di una preparazione quotidiana. Senza straschichi dal giorno prima. Qui va a cadere il rimprovero per la sosta pomeridiana e il consiglio di cominciare più tardi a dare un senso a basi e composizioni.

Pastorizzazione, mantecatura (niente verticali ma solo una più pratica orizzontale…), omogenizzazione e assoluta trasparenza gustativa. La questione non arriva nemmeno a mono e digliceridi, basi, sviluppo del rapporto acqua-grassi, struttura della texture o maturazione della pastorizzata, si blocca molto prima, tra le dodici e le ventidue, la shelf life di Ogni gusto…

Ecco l’abitudine, la mania, l’ideologia.

Da questo punto di partenza assiomatico, possono cominciare le guerre di seccessione e la ricerca di sensi e significati.

– I gusti.

Vittoria crede nel gelato gastronomico e nell’innovazione senza dogmatismo. La mia anima tradizionalista diventa un punto di vista… il gusto degli altri… Panettone, basilico, timo, eccedenza dei contrasti dolce-salato, palati da stuzzicare e paranoie impiegatizie da trasformare in sabati sera da chiacchiera estasiata per la rottura dello schema “sai che gusto abbiamo provato oggi?”. Il suo interesse per l’alta cucina non può che andare in questo senso. Stupire e, magari senza strepiti, portare via qualche cliente, non del tutto assuefatto al pistacchio color “merda-dopo-asparago”, al Grom dietro l’angolo. Questo era… almeno per me… una sofferenza di materie prime dai prezzi in ascesa…

Il caso, che non mi aveva mai fatto fermare per quasi un anno, mi pungola causa visita, tra il deludente e il nemetico, all’ascetico gabinetto-hipster-strozzacani Pavè Milano.

La docilità di inizio marzo srotola colombe e praline, gli dà tempo per mostrare femminilità, interesse… e anche il laboratorio. La trovo meno sicura, più piacevole al gusto, sia nel gelato che nella chiacchiera. Il sorbetto al cioccolato (con la sua predilezione per le note ecuadoriane degli Arriba di Domori, agrumati e freschi, buoni in una miscellanea base-acqua…) rimane sempre oltre la piacevolezza (ancorchè il cioccolato freddo perda gran parte delle note aromatiche…), il resto è un repertorio di assaggi, tra il convinto e il convincente… dalle paste, dove noto una ricerca, più refrattaria al giudizio, al ghetto e al soggetto (il sommo Gelatiere), e più aperta alla discussione, all’interazione e all’oggetto (il gelato), fino ai vari gusti… l’accoppiamento mandorla-fico continua a non convincermi con quell’amarezza finale che costringe a definire mandorla i sentori di acido cianidrico, ottimo invece il pistacchio (un filo troppo tostato) con la cannella (delicata) e un’eccellente confettura di ribes nero… e, anche nei classici, soprattutto nella scelta di una nocciola poco tostata, cruda dal color marrone pastello, si vede una finezza che altri gelatieri non si possono permettere.

Il gusto c’è, ogni tanto viene meno la complicità e la comunicazione…

Vittoria è veramente caparbia, ha l’intelligenza del dovere… nascondere e mostrare… fortunatamente si ferma un filo prima della dimostrazione, quella dell’“ho visto Dio. È nera, comunista e lesbica”, sente che l’artigianato è percepito come un retaggio dell’impero del pomo d’Adamo ma si destreggia senza ideologie. La forma della comunicazione va palesata con più costanza. Il rapporto coi clienti è fondamentale per vendere, approfondire e raccontare il proprio lavoro. Riuscirà a trovare un compromesso coi suoi assiomi e le sue sveglie. La fiducia è un assaggio in meno e un abbraccio in più…

 

GELATO GIUSTO

VIA SAN GREGORIO 17

MILANO (MI)

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