Il panificatore non scende a compromessi… Luca Scarcella

SCARCELLa

Torino. Borgo San Paolo. A metà strada tra il residenziale e il popolare. A pochi passi da quel Rione Lancia che ha riqualificato l’industrialità regalando parchi, giardinetti, bambinetti e solidarietà. In mezzo agli enormi vialoni suburbani, dei pali bianchi, usciti dalle ricostruzioni dei velieri e degli acquari, installano i marciapiedi, facendo intendere qualcosa di diverso. Binari interrati riconvertiti in opere d’arte danno l’idea di un passato industriale che non esiste più. Spina Centrale: Spina 1. Il tutto è sovrastato da strutture tubolari che ridanno la profondità dei boulevard e la stupidità della domanda perché. La domenica mattina è come se tutto questo fosse il testo. Le persone o non ci sono o scompaiono. La vista è spostata verso l’alto. Palazzi e grattacieli scarnificano il popolare, rendendolo domotico. E così, il sostenibile diventa un lavaggio della coscienza. Mentre i barboni cercano ancora nei cassonetti.

Qui, in un angolo abbastanza nascosto, il panificatore di quartiere Luca Scarcella ha messo in atto una sovrapposizione.

Il panificio è in via di ristrutturazione, la sua attività può fregiarsi dell’aurea di una crescita costante, professionale ed economica. A 21 anni, Luca ha aperto il suo primo panificio a Collegno, nella prima cintura torinese. Ma Torino continuava ad essere un richiamo. Riesce a vendere e a trovare un laboratorio quotidiano e raggiungibile in città. La serietà era messa a dura a prova dalla concorrenza da impasti diretti, semi lavorati e miglioratori, che non poteva fare a meno di vedere nei pani e nei volti. La salvezza è il web. Lievito madre. Il mistero lo disvela lentamente, senza maestri. Gli errori (tipo lo yogurt come starter) lo hanno portato ad una definizione. Di sé e del suo panificio. I panini suadenti, con l’uvetta o con l’oliva, le ciabattine anemiche, il pane bianco, così richiesto senza una reale necessità, non lo soddisfacevano più. L’ora delle grandi pezzature aveva battuto il colpo.

Così ha iniziato una gestione del lievito in bagno d’acqua e un lavoro-ricerca sulle farine. Per ora siamo ad un mulino da battaglia, a Quaglia e al farro di Marino. I gusti vengono confortati dall’utilizzo di semi o di essiccati che contro-bilanciano i gusti. Ottime le strutture semi-integrali con i pomodori e con i fichi. Pieno il pane in cassetta multi-cereali che ha un’anima morbida ma un filo oltre di rilascio alcolico. Le micche sono fatte bene, la Petra tipo 1 tiene alla perfezione, ridando indietro il suo più tipico profumo di grano indotto, quasi di grano ricostruito. È quasi indefinibile, ma la costanza di Luca mi fa soprassedere. Il pane è finalmente estetico, crosta friabile e armonico al palato. “Questo ricostruire il gusto di una volta attraverso la tecnologia” non è armonico in bocca. Problemi miei e degli artigiani probabilmente. Luca lo sa, è conscio di tutto, sta lavorando su altre farine e testando nuove conoscenze. Ma la comunicazione e il supporto sono comfort da non sottovalutare.

La rivoluzione culturale non tocca solo il pane: contesto, struttura del laboratorio ed educazione del personale. Luca è un entusiasta umile. Uno di quelli che mostra e che spiega tranquillamente. Lo stato delle cose soprattutto. Senza giustificazioni.

Dopo qualche anno trascorso comprando lieviti essiccati, un paio di anni fa ha deciso di mettere in piedi anche il suo panettone, che non è ancora un panettone, ma una veneziana rivisitata, con arance candite e uvette. “Il panettone, magari, l’anno prossimo”. Per ora è un investimento sul suo lievito e sui suoi tempi. Quelli di maturazione, quelli di attesa e quelli di rinfresco. Senza maestranze. Rimane la focaccia della Befana. Più alta rispetto alla tipica, con un’occhiatura diversa, meno compressa. Cubetti di agrume canditi, meno carica rispetto ad un lievitato, uovo betacarotene e un’umidità appena accentuata. Il sapore è definito, pieno, è un grande prodotto al di là della difficoltà della conservazione. Va mangiata, come un buondì, come una merenda, senza l’attesa di una festività o di una tavolata azzimata di rosso. E’ riuscito ad imbandire la sua pasta acida per la bontà del momento.

Luca è passato da una suoneria dedicata alla banca, per riconoscere subito l’incubo che stava vivendo, alla coda fuori dal negozio di persone che, sull’onda della “Lievito Madre Connection”, portata avanti da millantatori, feticisti e possidenti terrieri, si assiepano alla ricerca dell’acidità e dell’alveolo. Lui è talmente gentile da goderne, senza battaglie di principio ma solo col riguardo di non dimenticarsi dell’origine popolare, del pane e del quartiere. E così non ci sono possibilità che l’investimento non abbia un esito positivo. Luca ha ancora delle stime e delle deferenze. A volte, le differenze corrono veramente su un filo…

 

IL FORNO DELL’ANGOLO

VIA LURISIA 7

TORINO (TO)

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *