Il pasticciere che fa per me… Marco Vacchieri

meringata

Rivalta di Torino. Ancora cintura torinese ma con accenni di campagne. Le strade si restringono, appaiono le prostitute con i loro fuochi e gli alberi di pioppo. C’è già della tortuosità e la città diventa lentamente paese. Nonostante le araldiche industriali del luogo, Rivalta ha un’anima nobile e diroccata. Castelli, torrioni, mulini, mura di cinta, monasteri, chiese e acciottolati fanno capolino in mezzo ad un mare di condomini massimo tre piani, colori pastelli, balconi dai fiori appassiti e giardinetti salva-bambini. Qui, proletari e borghesi hanno sollazzato per anni in frasi fatte, portinerie e circoli ricreativi.

In un luogo che prima non era suo, Marco Vacchieri, un pasticciere che non avrebbe potuto che fare il pasticciere, nonostante una laurea in economia, ha trovato la sua nuova casa. Con tanto di modernità ma con la patina contenuta.

Ecco fuori Torino quella che fu la pasticceria torinese, un luogo dove si lavorava la materia prima, strutturata per piani, dove si faceva tutto, dalla canditura alla caramella. Ora Marco ha sfrondato il vecchiume e ha ricostruito una sua filiera. Occupando quegli spazi che le aziende dolciarie hanno colonizzato negli ultimi trent’anni. Con stabilità ma senza gusto. Ecco il pasticciere che ha deciso di prepararsi le paste per i gelati e per i cioccolatini, di tostare il caffè, di lavorare il lievito e di corredare tutte quelle preparazioni da fattura facile che non mostrano la pasticceria ma la fondano.

Due piccoli mulini a biglie per prodursi le sue paste di mandorla, di nocciola e di pistacchio, quattro temperatrici dedicate a fondente, bianco, gianduia e latte, un trittico per il gelato, un forno con una storia e una contro storia – “per capirne realmente qualcosa e vedere come scalda, bisogna metterci una mano dentro” -, due laboratori separati, un banco con i pozzetti per i gelati, un banco per i mignon e uno per i cioccolati. All’interno, un pasticciere dalle scelte definite e definito dalle sue scelte.

Neutro con guar e carruba, latte in polvere a bilanciare solo qualche gusto, poche carapine, una nocciola corredata con dell’amaretto (e questo nella sua pasticceria-gelateria è una costante per togliere il residuo dolce…), per me un filo irrispettosa di natura ed abitudine, un pistacchio salato pochissimo ma troppo tostato, una crema all’uovo estremamente delicata e uno straordinario zabaione, areato, semi freddo, poco rotto, con il marsala assolutamente equilibrato. E il suo gelato è arrivato da pochi anni, senza stridii, senza proclami e senza cervellotiche dichiarazioni d’intenti. Uno dei migliori gelati di pasticceria che si possono trovare sul territorio. Facile ma originario.

Marco non lo esalta e pensa sempre al cliente. A quello che cambia, a quello che lo fa campare, a quello che vuole sempre trovare il prodotto fresco.

“La rovina di molti pasticcieri, chef, cioccolatieri, artigiani sono stati i giornalisti che hanno indotto nel cliente la ricerca della stupefazione, sempre e comunque”.

Così la millefoglie e la meringa stufano e via di torte ad otto strati con limone, glassa al fungo porcino, mousse al frutto della passione, contrasto acido lamponato, sette cioccolati diversi per origini, strutture, lavorazioni e composizioni e una spolverata di cocco finale. I giornalisti impongono agli artigiani la comunicazione e lo stravolgimento. E così si generano mostri ed enclavi amicali, dove se non ci sei, non esisti. Ecco, il pasticciere Vacchieri ha continuato a produrre meringate, è diventato famoso per le meringate, ed è l’unico dolce a cui concede l’abbattimento e la conservazione. Ma c’è un perché. È soave, anche accompagnata allo zabaione, ha una struttura molto diversa, con poche friabilità e ancora meno croccantezze, lo zucchero è dosato egregiamente, e quello che resta è molta leggerezza materica e gustativa.

Le restanti torte o si prenotano o non si trovano.

Rimangono i suoi mignon identitari. Il bignè caramellato ripieno di nocciola e panna o zabaione, i cestini di cioccolato Pacari (perché anche qui Marco si è definito nei confronti delle blandizie: Valrhona e Domori bruciano i loro aromi…), i cannoncini, le paste di mandorle senza aggiunta di mandorla amara o armellina, soffici ed equilibrate, le praline, i cremini, i gianduiotti, le stecche di cioccolato aromatizzate con rosmarino, pomodoro secco o ceci, degli splendidi marron glacé a la maison a corroborare il tutto, gusti e definizioni.

Il lievito madre lo lavora in determinati periodi per piccole produzioni. Lo prende in prestito dall’amico pasticciere Raspino (a Torino) e lo declina in pandori, panettoni e focacce della befana, ricche di canditi Morandin, con un buon equilibrio tra vaniglia, burro, secchezza e umidità.

Integro e fuori dall’appariscenza, Marco porta in giro il suo fisico da pasticciere sussurrando la sua diversità. Le grida le lascia ai consessi, ai salotti, ai giornalisti e alle accademie. È un artigiano intimista, con la libertà culturale di decidere quello che non è deciso, quello che non è dato per scontato, quello che non è già una consulenza e non è ancora una possibilità di fare soldi. Anche quando vince i premi con la sua crema spalmabile, anche quando è costretto a comprare ottanta kili di cioccolato, bruciato e scamorzato, di Claudio Corallo, uno di quelli che devono essere un racconto al di là di tutto, anche e soprattutto quando deve parlare di sé… È un assaggio al di là di tutto…

 

PASTICCERIA VACCHIERI

VIA ROMA 2

RIVALTA DI TORINO (TO)

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