Il selvatico che diventa un dolce erborinato… Quercy, Albi, Roquefort

rocamadour-09

Lasciare il Perigord per il Quercy è un momento di caldo afoso dove abbandonare la culla della civiltà per gettarsi in mezzo a tornanti di pellegrini e macchia mediterranea. Regione storica che non ha più una definizione di confini, dove roccia, arbusti e strade deserte non sono più un’altezzosa pretesa. Qui l’abbandono è subitaneo e Rocamadour pretende da subito il viatico per la vista eterna. Arrivati alla rocca, la paura prende forma sotto le spoglie di un pullman, ma poi il belvedere rimette tutto a posto. Rocamadour, da lontano, abbarbicato su una roccia nella profondità di una valle, è un luogo fascinoso e anacronistico. Più ci si avvicina, più la magia sparisce, i pellegrini alla ricerca dell’indulgenza comprano anche l’aria. Ma la fama religiosa non viaggia sola.

Rocamadour è anche uno dei cabecous di capra che hanno ottenuto l’AOC. Uno di quei formaggi per cui qualche anno fa avrei dato mezzo palato e che ora mi lasciano un po’ di curiosità e nulla di più. Sulla strada tra Figeac e Cahors, due meravigliose cittadine meridionali, dove il clima rilassato va di pari passo con la particolarità architettonica e dove le chiese sono ancora chiese, con funzione di accoglienza, e non circhi a tre piste dalle funzioni più secolarizzate di un parco divertimenti, la Ferme du Mas Thomas, letteralmente in mezzo ad un nulla di sottobosco e piante basse, possiede un allevamento di capre e maiali assolutamente raffinato. Il Rocamadour, minuscolo, in confezioni esteticamente ineccepibili, è l’epitome dei caprini francesi. Cagliata lattica, crosta fiorita, proteolisi accentuata e mantecazione della pasta. Perfetto nella sua essenza.

belin

L’abbandono di St. Cirque è per il Quercy Blanc, zona indifesa di piccoli borghi remoti dove la natura raggiunge l’apice della maestria. Perfezione e assenza umana. Equidistante da tutto, con le città più vicine ai misteri che alla conoscenza. E così mi faccio prendere dalla frenesia di raggiungere la città degli Albigesi. Albi. Un tripudio di strette viuzze, cattedrali e retaggi pittorici. Questo è il luogo natale di Toulouse Lautrec e rappresenta un sud un po’ più ambizioso, con ragguardevole distanza, ma meno silente. Il motivo, al di là della bellezza, è la ricerca compulsiva di Michel Belin, uno straordinario pasticcere compassato.

Ha visto tutto e con la più classica delle nonchalance sbuffa ad ogni moda gastronomica, sua moglie intercede nella straordinaria arte della reggenza di una pasticceria. Un modello incredibile, da esportare. Perché è lì che il dolce trova l’estetica della tranquillità. L’ambiente è rilassato, preciso, senza dogmi, con una familiarità di dolci assoluti. I classici della pasticceria, dalle tartellette all’utilizzo del limone, dalla sablè ai macaron fino alle mousse, sono strumenti perfettamente conosciuti, gli accoppiamenti ridanno dolce al dolce, senza particolari bizantinismi. Il cioccolato è di una maestria rara. Michel non ama il folklore artigianale ma come scioglitore vale tanto oro quanto ce ne mette nelle sue praline. Tutte sposate benissimo, raffinate in bocca e con un cioccolato strumentale al gusto. Biscotti, paste lievitate e gelati sono il corredo di un’opera omnia perfettamente francese. La sublimazione di una pasticceria che trova sempre il modo di stupire.

roquefort

Ma l’inganno è dietro l’angolo. E io già lo prevedevo da tempo. Roquefort sur Soulzon, nell’Aveyron, è il piccolo paese patria di uno dei formaggi più famosi al mondo. Sette caseifici per la totalità del prodotto. Un affinamento in grotta naturale che la denominazione protetta ha posto come obbligo e una guerra mediatica per accaparrarsi il turista più scemo che, alla ricerca del penicillium, si trova in mano delle forme di polistirolo. Il resto è nascondimento di un formaggio che non esiste più nella versione fermier. Le aziende agricole territoriali, e anche qui di pecore al pascolo viste proprio pochine, conferiscono il latte alle sette sorelle che trasformano le tonnellate da spedire nel mondo. Tutto assolutamente a latte crudo, perché qui la difesa di un prodotto è veramente la difesa di un prodotto, ma tutto assolutamente proditorio. Erborinato di pecora giovane molto buono, stagionato non in maniera particolarmente raffinata, nella versione con maggior presenza di spore di penicillium roqueforti assolutamente inconsistente. Un buon formaggio con una mistica ma senza più una storia da raccontare che non sia quella delle tradizioni in inglese e dell’attesa di turisti. Tra tutti, Carles decisamente il migliore. Ma lì, in mezzo a questa natura che occupa tutto il lato selvaggio dei Midi Pirenei, ci si aspetterebbe più verità. Un passo falso normale per far tornare tutti sulla terra e farmi arrivare in Italia un po’ meno stupefatto…

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *