Bergamo. Poche centinaia di metri fuori dal casello autostradale, ancora meno dalle barriere anti-rumore che proteggono la tecnologia del kilometro rosso e l’insipienza di una pianura che non ha molto altro da chiedere se non il pedaggio. Qui ci sono un susseguirsi di rotonde, di semafori, di paesi e di strade. I parchi sono solo nell’immaginazione dei Verdi che, ancora, sperano di ricavarci qualcosa dall’erba, senza spacciarla. In quel triangolo che si forma sotto la conformazione dell’autostrada, la bassa bergamasca alterna all’infinito il corredo industriale da transumanza urbanistica ai fontanili, alle cascine, ai canali e al granoturco. All’angolo di una rotonda, al termine di una stradina senza uscita, con un paradigmatico cancello “nascondi-mondo”, Angelo Santinelli, e prima di lui suo padre, ha dato il là ad uno dei progetti più rivoluzionari della piana autostradale: un allevamento di bovini piemontesi affiliato alla Granda, unico in tutta la Lombardia. E questa è la parte meno interessante.
Angelo è un veterinario che, pur continuando la sua professione di chiamate notturne tra asini e vacche scorrazzanti per la Val Seriana, una quindicina d’anni fa, ha ripreso in mano l’azienda del padre Pieramabile, in passato fulgida di frisone olandesi e di conferimento latte alla Centrale, orientandosi verso una razza da carne, verso un allevamento estensivo e verso un’idea tracotante di impatto visivo: qualità in mezzo al catrame.
Angelo è andato in qualche allevamento in Piemonte, ha incontrato Sergio Capaldo e ha deciso di aderire al progetto della Granda, quello che è diventato un presidio basato sulla dimensione delle aziende agricole piuttosto che sul numero reale di capi. Stiamo parlando di decine di migliaia di bestie sparse, senza una destinazione comunicativa e senza una destinazione commerciale. Sergio Capaldo, insieme a grandi macellai come Franco Cazzamali (che adesso ha preso una strada mercantile…), i fratelli Zivieri e Marco Alliano, e a rigorosi allevatori (diciamo che Coalvi, il consorzio che tutela più gli allevatori che le bestie, ha paradigmi nutrizionali e decaloghi un filo meno rigorosi…) come i Santinelli, ha creato unione, dando vita ad una rinascita economica e ideologica di un Piemonte originario…
L’idea di Angelo è una stalla libera, una stabulazione conforme e un ingrasso senza spinta. Un semi-bradismo concessogli dagli ettari ereditati, dalla sua professione e dall’idea che il finissaggio di un bue al buio e legato con una corda alla stanga non è la consistenza del benessere. Così, messo da parte l’allattamento in alpeggio che non è sfortunatamente di queste lande, ha deciso per manzette sui 18 mesi e sul castrato, per una parte della stalla dedicata allo svezzamento e per una parte d’ingrasso e finissaggio a fieno, erba medica e fava, niente insilati e niente pisello proteico.
Eccezion fatta per la fava, viene tutto prodotto in azienda. Il padre si aggira tra il torvo e l’orgoglioso alle nostre spalle. Una pensione più goduta in azienda che alla televisione, poche parole e un decisionismo talebano sulla proporzione diretta tra alimentazione della bestia senziente e alimentazione della bestia ragionante.
Una famiglia di allevatori che sta cercando di comunicare la propria carne senza una macelleria e senza un punto vendita. Il prodotto è straordinario. Bistecche, polpa, costate e biancostati sono perfetti. Il bollito “molecolare” (confronto privativo), vittima della mia nostalgia verso Pantagruele, mantiene succhi e cottura in un raro equilibrio. La fava struttura il sapore di glutammato, l’ossimoro del giusto grasso intramuscolare che la rende magra fa il resto. È una carne di una versatilità unica, bisogna solamente condurla sul piatto. Il ruolo di Angelo ha quella sottovalutazione da lavoro quotidiano e abitudinario. Macellazione, marezzatura e frollatura sono l’esperienza di qualcun altro, qui non si sofistica il sotto vuoto.
Famiglie e qualche sparuto ristoratore (lo stesso Enrico Cerea ne sta testando la qualità coi soliti tentennamenti inconcepibili sui prezzi…) compongono il puzzle della bestia. Dieci kili uno, venti l’altro, cinque quell’altro ancora. Una volta saturato l’animale, si va in macellazione e si vende tutto. Solidarietà, sostenibilità, assenza di sprechi e di filetti sotto vuoto, ma soprattutto approvvigionamento e serbevolezza. L’acquisto è una consumazione e una conservazione.
I figli di Angelo vorrebbero creare una zona di degustazione in mezzo all’orto, al frutteto e al piccolo pollaio di famiglia. Far conoscere quella pianura non può che passare attraverso una mistificazione delle barriere anti-rumore. Angelo, nel suo riserbo e nel suo desiderio di essere comunicato, porta avanti due mestieri senza molti fronzoli e senza molta patina. Ma la cacofonia estetica della contemporanea necessità soprattutto di una bella espressione e di una straordinaria eventualità…
AZIENDA AGRICOLA SANTINELLI
VIA STEZZANO 63
BERGAMO (BG)