Isera. Dall’altra parte dell’Adige, in una minuscola piazzola che guarda Rovereto, non lasciando nulla al non detto, si nasconde una piccola bottega, chiamata Panificio Moderno. L’ingresso è senza segreti, non dà lustro ad una gloria e nemmeno ad una sapienza. Il negozietto è piccolo, le commesse sono schive, lavorano in maniera indefessa e accontentano qualunque tipo di richiesta. La specificazione per la pasta madre deve essere segnalata su un piccolo cartone dove vengono evidenziati le tipologie di pane fatte in quella maniera. E così, anche l’attesa dell’arrivo di Matteo è scandita da quel modo di fare che non dirime la necessità dal desiderio e non prova a sondare l’interesse attraverso la domanda, ma aspetta cautamente la richiesta.
Matteo arriva con i suoi 27 anni e un viso che ne riporta due o tre in meno. Mi fa penetrare all’interno del laboratorio e mi fa trovare in preda all’inaspettato. A parte l’invasione barbarica che lo attende, dopo la presentazione del padre, Paolo e del fratello, Ivan (vittima di aneddotiche non entusiasmanti che non hanno assolutamente trovato corroborazione all’interno della chiacchierata e della timidezza… anzi mi è sembrato un filo oltre la lunghezza d’onda del concetto di panificio di famiglia…), mi allarga lo sguardo su un laboratorio che si completa con il negozietto attraverso una struttura ad iceberg. Da lì partono i prodotti per i tre negozi, l’ultimo con una parte dedicata alla ristorazione e alla pausa pranzo.
Matteo inizia a raccontare con arguzia ma senza mezze parole. Nonostante io lo incalzi (capitano a tutti gli slump di rendimento…), lui non mostra crepe nel suo discorso.
E, ancorchè la persuasione sia un’arma a doppio taglio, riesce ad esprimere la propria difesa nei confronti, per esempio, del lievito di birra, con costanza e precisione.
Il lievito madre è stata una scoperta abbastanza recente. Quattro-cinque anni fa, alla Cast Alimenti, segue un corso con Piergiorgio Giorilli, rimane affascinato da un mondo a latere rispetto a quello consono alla sua famiglia. Si prende la briga di inizare a studiare e di iniziare a sperimentare. L’abbrivio, e questo gli è riconosciuto dallo sguardo di suo padre e dalla mezze parole di suo fratello (vere anime della produzione giornaliera) che lo ascolta senza mai contraddirlo e senza mai interrompere il flusso di un comunicatore ecumenico, è ben rappresentato dalla sua testardaggine e dai suoi sogni.
Girava per casa alle quattro di mattina col suo panetto di lievito alla ricerca della temperatura e dell’umidità perfetta. Mesi di tentativi, notti insonni, problematiche congiunte. Lievito in acqua, lievito liquido, lievito legato. Alla fine dei tentativi si opta per la strada Eugenio Pol. Il lievito di birra (a cui Matteo comunque lascia una sua dignità) rimane per il boccone giornaliero, per il panino del pranzo, per il pane da mangiare in giornata, ma diminuisce gradualmente il suo monopolio.
I genitori, all’inizio refrattari al cambiamento di abitudini e all’aumento delle ore di lavoro, iniziano a fidarsi del figlio e di quel prodotto così diverso e che fa della lentezza e dei tempi lunghi la sua cifra concettuale. Il cliente inizia a chiedere e a informarsi.
Si trovano i macchinari corretti e si inizia a lavorare sulle farine. I surrogati vengono messi da parte, i mulini piemontesi (da Sobrino a Marino) non garantiscono una copertura distributiva e vengono subito accantonati. Si lavora molto con i veneti Quaglia (le mie perplessità sulla provenienza dei grani e sull’aggiunta di glutine e di crusca all’interno della farina stessa non vengono chetate ma nemmeno sorvolate… il futuro, magari, dirà altro…) e Antico Mulino Rosso, si occupa il 20-25% della produzione e si fanno delle linee giornaliere con cadenza settimanale per iniziare ad educare i palati e le menti.
Ecco dove Matteo diventa un signore di cinquant’anni con la barba sfatta, l’occhiale spesso, le clarks, la giacca di velluto e la trentesima sigaretta di giornata accesa su un libro di un teorico della cinematografia azera morto per mano di un rivoluzionario iraniano: non nella tecnica e nemmeno nella conoscenza teorica e sfacciatamente sprezzante, ma nell’insegnamento e nell’alfabetizzazione.
Racconta senza metafore stralunate o pose da primo della classe, spiega nei minimi dettagli l’argomento pane e l’argomento lievitati partendo dalle domande più semplici, senza mostrare altezzosità e distacco, ma mantenendo sempre al centro della comunicazione il suo lavoro, che non è più quello di produrre, ma è diventato il proselitismo e la relazione con il cliente. Geografie umane dove, non solo eccelle, ma dirada fantasmi e nebbie. Meglio del Piffer(aio) magico perchè non ha bisogno dell’incanto, ma si accontenta del viso sbarbato e della ferma sicurezza del proprio sguardo e delle proprie parole…
… e così si arriva agli assaggi che rappresentano la gentilezza di una famiglia trentina, radicata ma cosmopolita.
La madre viene utilizzata per un paio di farine di grano tenero Petra, un grano duro per il pane Pugliese, farro e segale del Mulino Rosso, la Panettone sempre del mulino quaglia e il Kamut (credo sia quello marchiato americano…).
– I grani teneri non sdilinquiscono per il sapore, hanno un particolare aroma di forno data da una crosta tra il ben e il troppo cotta, ma alla masticazione e alla digestione rilasciano tutta la grandezza di un prodotto controllato in maniera scientifica: nelle occhiature, nella fermentazione e nel gusto. Il sapore è lento, non persuasivo e nemmno suadente, ma rimane molto oltre le pareti del negozio e molto oltre le notti sudate a causa di conservanti, cattive lievitazioni e mono e digliceridi.
– Ottimo è il pane fatto con i vinaccioli di Pojer & Sandri, studiato appositamente per la festa di Agosto che si svolge nella cantina. Dopo aver portato il vinacciolo allo stato di una farina integrale, con il seme a far la parte di crusca e cruschello, si miscela alla farina, generando un ensemble estremamente profumato e delicato, con l’uva a farla da padrone al naso e il grano a fare da contraltare nel sapore. Creativo ma senza eccessi…
– Poi ci sono i grissini ricoperti da uno strepitoso aglio orsino e il pane pugliese. Ecco, il pane di Altamura del Presidio Slow Food, in confronto, scompare nella bassezza di un nome molto più forte della tradizione. Fragrante, morbido ma con la leggerezza delle stratificazioni delle alveolature, aeree ed elastiche.
– Per il finale, vengono lasciati i dolci (su tutti uno strudel, con adiuvo di pasta frolla, veramente ben fatto) e i lievitati. Merito del pasticcere Eros, già con Peter Brunel e con Luigi Biasetto, che regala al mondo una colomba straordinaria. Ha una suadenza: è cotta poco e quindi è molto umida. Ha un profumo, un tatto e un gusto veramente rari. Saranno gli ingredienti, sarà la capacità del pasticcere o la ghiaccia rapsodica, ma il prodotto finale ha un equilibrio di rara grazia…
Matteo, nel mentre, non accenna a farsi blandire, rimane sempre coerente sulla sua comunicazione, mantenendo una capacità, difficile a trovarsi, di mettere ad agio e a sapore…
PANIFICIO MODERNO
VIA AL PONTE 10
ISERA (TN)
Bravo Matteo complimenti
e tanti saluti da Giorgio di Senale (Alta Val di Non)
Ciao Georg,
stavo cercando un contatto di Nicolò e mi trovo il tuo commento!
ti ringrazio, grazie anche per il tuo super formaggio!
ciaooo