La coppa è un sibilìo invernale… Flavio Carini

Sariano di Gropparello. Qualche anima dispersa su una strada verso una valle che non è una valle. Qui, la crisi si è portata via quelle uniche cinquecento persone industrializzate che producevano barche e riempivano appartamenti. Superato Carpaneto, la pianura rimane pianura solo sotto le ruote. L’apertura alla collina è un respiro d’insieme che libera dall’ansia. Qui c’è la voglia di trasferirsi, di prendersi del tempo, di raccogliere le mele e di chiamare il pupazzo dalla cravatta arancione facendogli la stecca. Può durare anche solo un attimo questa voglia, ma rimane un’assenza di rumore talmente potente da disorientare. È già un languore, probabilmente un panino imbottito dall’accento sanguigno di chi nella vita ha avuto un genitore e una tradizione. Fortunatamente la frazione di Sariano è molto prima del paese di Gropparello. La mia indigenza viene chetata da un paio di indicazioni dialettali e dalla bottega della Giselda, la patria, talmente metropolitana da risuonare cacofonicamente nella mia testa, di Flavio Carini.

Il piccolo market appare convenzionale, ha un retaggio ben chiaro nella mia testa (fratelli e cugini Longoni a Carate Brianza…), si vendono le sigarette, i giornali, la frutta, la pasta Barilla, i giochi per i bambini e i ceri del morto. Poi c’è un bancone del fresco, un paio di gentili signore ad accogliere i clienti (la compagna e la sorella di Flavio ndr…) e un sentore che non sia tutto lì. Dal soffitto e dalle pareti pendono vistosamente insaccati. I suoi e quelli degli altri. Così appare Flavio Carini, nel racconto del suo lavoro e di quello degli altri, di quelli che non ci sono più, dei ragazzi settantenni che lo aiutano nella norcineria, dei rugosi venditori di porcini secchi, della sua famiglia, degli allevatori amici, dei suoi panini con la coppa e dei pensionati ex grandi salumieri piacentini.

Con ancora pochi clienti, a mattinata appena cominciata, decide di farmi scendere nelle segrete. Vista di prati e boschi, porte che si aprono, contemporanee, su le stanze del vecchio macello. Quello di suo nonno e di suo padre. Quello dei punteruoli al posto delle pistole odierne, quelli del lavoro di norcino, del maiale per ogni famiglia e dei salumi di una volta che, nonostante nella maggior parte dei casi risultassero immangiabili, quella volta che ti andava bene era una festa. Una terra di salumi non può non essere una terra di macellatori. Ecco l’ipocrisia del giorno d’oggi. Mangiare un prodotto con un nome ma senza un volto, esautorando l’atto, il sacrificio e la necessità. Quello che resta sono negozi pieni di salumi, stagionati pochissimo, che, per non incorrere nel vile commento dell’insapore, imbellettano tutto con vari aromi. Tra gli altri, il più solleticante, è proprio quello al salame. Quindi salame all’aroma di salame. In poche parole: carne fresca, della più dubbia delle provenienze, edulcorata da quel sentore di salame che fa dello standard l’unica sua ragione d’essere.

Ecco. Da tutto questo Flavio si è sottratto. Non può più macellarsi la sua bestia ma ha il suo allevatore, tra Podenzano e Gropparello, che gli tiene da parte il suino oltre i duecento kili, quello che non interessa alla Dop, garantendogli l’alimentazione mirata alla ricerca del prodotto. Mais, favetto, orzo, siero e tutto quello che dell’ingrasso mantiene i crismi del naturale. Animali in mezzena, nessuna frollatura, poco fresco (qualche cotechino in stagione e i ciccioli, che lavora in un pentolone esterno fino alla doratura, per un lascito contadino che non ha accoliti) e i salumi giusti. Salami, grasso di gola e carne di coscia, coppe, pancette e un sanguinaccio, per pochi eletti e in barba alle stupide normative vigenti che trattano il sangue, eccezion fatta per le macellazioni Halal che necessitano della morte per dissanguamento, come materia pericolosa.

Lui è l’uomo della coppa, o uno dei pochi norcini che ancora prova a dare artigianalità e a viaggiare assaggiando la concorrenza, entrando nei laboratori e conoscendo a menadito tutti i segreti di un mestiere che non può fare a meno del passato. Fa un prodotto straordinario, con aggiunta solo del sale di potassio, senza niente che non sia una concia a secco (mi confida che molti ormai, per una facilità di stagionatura, hanno cominciato ad utilizzare svariate salamoie), ma me lo aspetto: otto mesi (il minimo per pezzature di quel tipo: oltre i quattro kili fresca, circa la metà dopo stagionatura), oleoso al calore, marezzato oltre modo, nessuna demonizzazione per il grasso, nessuna rancidità, poca cantina e retrogusti estremamente puliti, senza quella fiacchezza untuosa sulla lingua che stagna per ore nel reflusso del più classico dei salumi da “Osteria Piacentina – Piatti Tipici – Salumi della casa”.

Lo stupore lo riservo per la pancetta arrotolata: quasi un anno di stagionatura e perfetta in tutti suoi aromi. Sale, pepe, spezie, carne, grasso. Arrivano nitidi. Su tutti la dolcezza di un grasso olivato, quasi insaturo al palato. Per consistenze, temperature e retrogusti. Sembra un nero, invece è un suino pesante allevato con criterio.

Tutto il resto è chiacchiera, confronto, dogma, pensieri di ingrandimento e realtà che richiedevano la sua necessità di artigiano. Flavio, alle undici di un sabato mattina, ha in negozio molte più persone di una gastro-efferata boutique metropolitana. Le attirerà con i ceri o con le Marlboro, con le trattative dialettali con un grande distributore di tartufi-porcini-funghi secchi o con i piccoli produttori ospitati in bottega. Ma la gente viene da lontano, sorride, prova a chiedere e rimane incantata. Da un eloquio e da una persona che non ha bisogno dei salumi, delle stanze di stagionatura, delle celle di asciugatura o della vista verso la collina. È talmente comunicativo da bastare a se stesso, con i suoi racconti che sono già una vendita, una digestione e un sicuro ritorno. Flavio appare semplice, chiama fiducia e poi riflette sulle cose. È la definizione di bottega che spero quando ho bisogno di poesia, di autenticità e di ricordo. Senza pose…

 

LA BOTTEGA DELLA GISELDA

LOCALITA’ SARIANO 30

GROPPARELLO (PC)

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