La docilità dell’ape nera siciliana… Carlo Amodeo

Termini Imerese. Villa vista mare. Famiglia Amodeo.
Carlo Amodeo è una persona difficile da trovare e, una volta trovata, difficile da far aprire e, una volta aperta, difficile da portare oltre gli ovvi momenti di silenzio e imbarazzo. Per questo è un uomo sposato. Ha trovato una donna che è insieme tenacia e comunicazione. Porta avanti i suoi momenti di distacco e quegli occhi che si perdono in direzione del mare.
Susanna fa un lavoro sulla parola molto importante, in assenza del quale lo straordinario prodotto del marito sarebbe rimasto su poche tavole, in meno palati e in pochissimi ricordi. Invece lei surroga alla perfezione il ruolo di ambasciatrice, anche davanti alle difficoltà di fronte ad un prezzo diverso o all’indolenza della gastronomia siciliana.
Carlo invece è una persona lontana, che guarda al passato trovandoci il futuro, che vive molto tempo a contatto con le sue api tra le Isole Eolie e i suoi millecinquecento alveari. È come se vivesse un oltre, la cui distanza, ancorchè poco significativa, rimanga sempre incolmabile.
Fa l’apicoltore per caso e per passione. Vent’anni di lavoro con l’Apis Mellifera Sicula in purezza. L’ha ereditata dal suo maestro, durante i suoi studi. Ne era rimasta una sola arnia in un casolare abbandonato. L’ha recuperata, ne ha creato le condizioni per resistere e per esistere. L’ha difesa davanti alla tradizione del miele siciliano, isolandola.
Il clima mediterraneo la rende un’ape unica nel suo genere: oltre la docilità al contatto umano, è più resistente alle malattie ed è capace di svilupparsi anche partendo da piccoli nuclei.
Da tutto ciò, da una piccola azienda costruita a cento metri dall’abitazione, dalla voglia di sperimentare sempre un prodotto nuovo, anche in condizioni disagiate (tipo il miele di fico d’india, così complesso data la difficoltà dell’impollinazione), nasce un miele pudico che mantiene le caratteristiche sensoriali nel corso del tempo, cristallizzando (nella maggior parte dei casi) lentamente grazie alla bassissima quantità di glucosio contenuto.
La ricerca verso la purezza ha portato Carlo a preferire il monorigine al più banale mille fiori. La sua volontà gli ha permesso di scoprire mieli più complessi ma più soddisfacenti, contro cui il luogo comune si è sempre schierato in termini di facilità e utilità. Raccolti i favi dalle varie piantagioni, vengono portati in azienda e collocati in una stanza dove la temperatura viene controllata per eliminare l’umidità in eccesso. Raggiunto l’obiettivo, si tolgono i tappi di cera e si esegue la centrifuga, seguita dalla filtrazione e dalla decantazione. Dieci giorni e il prodotto è pronto.

– Miele di Astragalo Nebrodensis: partiamo da quello che ha cambiato per sempre la mia idea di miele. Mi ha sconvolto, trascinato a riva, assuefatto per dieci colazioni consecutive. Ero arrivato al punto di sentirne la mancanza. E’ un miele raro prodotto in alta montagna (sui milleseicento metri, sia sui Nebrodi che sulle Madonie), colore molto tenue, più bianco del giallo paglierino e più trasparente dell’immagine che il cucchiaino rilascia al Narciso mattutino. È “l’attimo di raggelato stupore in cui ognuno vede cosa c’è sulla punta del proprio cucchiaio”.
Nessuna cristallizzazione. Sapore delicato con punte terrose ma lisce e un retrogusto fruttato che svela quale dolcezza possa nascondersi sotto i meandri di un sottobosco aspro e roccioso.

– Miele di aneto: ambrato, amaro, deciso, senza compromessi. Non adatto come dolcificante. Perfetto con un pecorino o con un ragusano.

  –  Miele di mandarino: complesso, molto chiaro, più cristallizzabile di altri, sabbioso, di odore non persistente e di sapore blando e prezioso. Sale lentamente al naso con retrogusti più floreali che fruttati.

  – Miele di arancio: paglierino, non particolarmente aromatico. Perfetto nel latte.

  – Miele di sulla: trasparente, quasi liquido, dolce ma tenue con quel qualcosa in più dato dall’universalità degli accoppiamenti. E’ un miele perfetto.

  – Miele di nespolo: raro. Profuma di fiori. E’ il ricordo dell’istante esatto in cui lo porti verso la bocca. Non ha un presente ma un lungo e determinante passato di calzoni alla zuava, calze a metà polpaccio e le tre canoniche ore di attesa per vedere se il mare è ancora il nostro gioco preferito.

E poi tanti altri… ma soprattutto un’ospitalità che ha superato abbondantemente il contatto iniziale “di solito non facciamo venire nessuno qui in azienda” e che è perdurata nel corso delle visite.
Carlo rimane una persona che non sente l’esigenza di essere raggiunto. Che probabilmente, seguendo alla lettera il paradosso di Achille e della tartaruga, si sposterebbe di quel millimetro tale da renderne impossibile l’aggancio, in una perdurante dimostrazione dell’illusione del movimento e del nostro bisogno di ritornare indietro per vedere quello che ci saremmo persi…

APICOLTURA AMODEO
TERMINI IMERESE (PA)

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