Quando la manna viene dalla terra. Valerio Onorato

La manna è una di quelle parole che fanno parte del vocabolario comune.
Di chiunque. Di chi ha letto la Bibbia e di chi no. Di chi è stato a Pollina e di chi no. Quando un dono giunge inaspettato, la manna pare che ritorni a scendere dal cielo. Icastica. Nella maniera in cui apparve al popolo d’Israele nel deserto, durante la fuga dall’Egitto: “evaporato lo strato di rugiada, apparì sulla superficie del deserto qualcosa di minuto, di granuloso, fine come brina gelata in terra” (cit. Esodo 16-18). Un’epifania, un’apparizione, qualcosa di molto vicino alla salvezza.
Il verbo biblico è lontano… ma non così tanto:

 – la manna madonita è la linfa elaborata dagli alberi di frassino, utilizzata fin dall’antichità dai grandi terapeuti greci e romani (che probabilmente la chiamarono così, considerate le proprietà curative e le somiglianze cromatiche con l’episodio biblico…) e arrivata fino ad oggi grazie alla capacità di poche decine di artigiani, tra Pollina, Castelbuono e qualche paese limitrofo, che hanno mantenuto viva una cultura così antica e così radicata nel territorio. 

Uno di questi è Valerio Onorato. Iconoclasta. Esteta. Ironico. Radicato profondamente nella terra. A metà strada tra la solitudine e il mondo. Tranchant, sostenitore intransigente della coltivazione biologica. “Le piante decidono loro della loro stessa vita. Facciano quello che vogliono. I frutti che mi danno, li prendo. Quelli da buttare, li butto”. Nessun prodotto, nemmeno quelli consentiti alle colture biodinamiche.
Il suo agriturismo nasce tra Pollina e Castelbuono, è un posto che non ti aspetti. Un’apparizione. Molto vicina a quella ebraica. La strada è stretta e circondata da rovi di more, pale di fico d’india, qualche ulivo e qualche cipresso. Di quella campagna siciliana senza sbocchi sul mare e senza una reale apertura alle montagne. “Come pietra di cristallo, simile al coriandolo bianco e ad una frittella cotta nel miele”, si manifesta questa straordinaria (in quanto totalmente fuori dall’aspettato…) tenuta madonita.
Veniamo accolti da Piero Ciappa, un misterioso, sconosciuto, inintelleggibile e bravissimo chef (i suoi costanti spostamenti non gli hanno mai permesso di poter essere identificato dalla critica gastronomica. E’ lì, ma potrebbe anche non esserci. E’ un enfant sauvage della ristorazione. L’ennesima epifania…) che ci fa assaggiare un paio di creazioni spontanee, così rare e poco ortodosse, che assomigliano ad un’aspra ed estrema propaggine dell’alta cucina naturale. Gli ingredienti vengono determinati letteralmente dal terreno e dal clima, le possibilità in cucina sono imbrigliate in un menù a prezzo fisso di 25 euro (già troppo per l’idea locale di spesa massima…) in cui deve muoversi più con la creatività che con le richieste. Poco marketing, nessuna Guida importante. Mero e rapsodico passa parola. Ecco inverato il concetto di resistenza umana. I suoi occhi brillano di presunzione e speranza. Guarda la manna e si sente meno solo…
Valerio arriva con l’occhio addormentato della siesta pomeridiana, rovinatagli dalla sua inconsueta e viscerale passione per gli alberi di frassino. Beve un caffè ed inizia a raccontare.

Per fare uscire questa linfa bianca dalla corteccia è necessario praticare, ogni giorno, profonde incisioni sul tronco degli alberi, chiamate ‘ntacche (la sua bravura sta nel far sì che questa ferita si rimargini nel più breve tempo possibile, senza creare danni…). Questo succo che fuoriesce tende a solidificarsi sul tronco o, grazie alle nuove tecniche implementate da Giulio Gelardi (riconoscibile decano della manna madonita…), lungo un filo di nylon che impone la direzione alla sostanza. Per la raccolta, al di sotto dell’albero, viene adagiata una pala di fico d’india… 
Il contesto è quello di una suggestione verista…
Il suo gusto richiama qualcosa di antico, di vecchie case di paese, di donne col grembiule pronte al pranzo domenicale, di catoi umidi e bui… il dolce che compare al primo impatto, tende, da subito, a lasciare spazio ad un amaro, con sentori di mandorle e miele, che ha il verso dell’assuefazione. Desueto, difficile da imparentare, impervio e suadente.
A metà strada tra la farmacia e la pasticceria, la manna funge da lassativo, purgante e digestivo, è straordinaria nel gelato, dà origine a tisane, si accompagna al marsala secco o ad una grappa invecchiata. E’, semplicemente, quel sogno che tutti i bambini vagheggiano, almeno una volta, nella propria infanzia. 

Valerio è un personaggio stralunato, a metà strada tra un fumetto giapponese e una camera afosa poco ventilata, alle quattro del pomeriggio. Ha quel sonno sarcastico, quella flemma  lontana, quel modo di comunicare così diretto, senza contesto reale, senza sovrastrutture, senza quelle buone maniere così necessarie alla vita di paese, che ti danno l’impressione primigenia di accoglienza. Le sue risposte alle mie richieste son sempre negative, dissimulano la propensione dei suoi gesti, vivono di sarcasmo  e di passione radicale.
Quando gli chiedo che cosa lo ha affascinato tanto nella manna da farne una professione, mi risponde placido e distante
-“E’ buona”.

LA MANNA DI ZABBRA
CONTRADA ZABBRA
POLLINA (PA)

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