Sciacca. Maioliche, medioevo, facciate barocche, odore di pesce, puzza di porto, casermoni tinta unita, posizione strategica, pesca, cultura e agricoltura. È tutta una questione di prospettiva. Qualunque sia il punto di approdo, Sciacca riveste colori e luci diversi, a volte lontani, a volti deprimenti, nella maggior parte dei casi interlocutori. Culla del dolce far niente. Venendo da Menfi, la città appare sovietica e periferica. Interpretata dal cuore, dalle sue viuzze, dalle ringhiere infiorate e dagli azulejos sulle scalinate, riluce di una bellezza segreta. Quella della Sicilia meno conosciuta, meno turistica, con i belvedere e le ville invasi da indigeni e limitrofi, quella con i porti non azzimati alla necessità turistica, con capitani in scarpe da lago, giacca blu e occhiale intellettuale. Qui ci sono solo marinai, barche in legno, strade imputridite, olezzi di pescivendoli stantii e il Bar Roma. Quello che è troppo facile definire un’istituzione. Qui, oltre quarant’anni fa, mise la prima pietra Aurelio Licata (ritornato dalle più classiche espatriate teutoniche in “valigia di cartone mood”…), maestro di granita, con poche velleità gastronomiche e con ancora meno ricette dietro il banco: gelato di fragoline di Ribera (potrebbe pure non esserci… il gelato non è nelle sue corde e nemmeno nella sua voglia di esporsi… abbastanza sporco al palato…) e granita al limone.
Quest’ultima sposta le montagne, le autorità, la Michelin e i giornalisti americani. Attratti dal nome e dalla popolarità… ma se si spegnessero i fari, rimarrebbero interdetti nella nullità di palati consumati dai belletti, dalle ceviche e dalle spume di mortadella…
Ma qui non si sta scherzando. Aurelio Licata e il suo fido braccio destro e genero, Salvatore Friscia, armato di encicolpedica ricerca dell’origine, fanno una cosa in maniera straordinaria. Il loro marketing e la loro comunicazione sono incentrati sui limoni, sulle fragranze e sulla scelta. Ma i loro segreti sono la Cattabriga verticale e la moralità di lavorazione. Gli allisciati soloni della critica “caco-gastronomica” si sono soffermati sui geniali ingredienti. Che manco Pulcinella… Zucchero, acqua e limone e ad addensare un bel paio di muscoli… alè! Ogni tanto Celine dovrebbe tornare tra i vivi per sporcarsi nuovamente le mani e rendere immortali e immorali alcune categorie di persone…
Salvatore, ma probabilmente Aurelio (conosciuto solo per interposta…), hanno la semplicità della passione, l’unica che acuisce la distanza. Per questo cavalcano la superficialità senza nemmeno porsi una domanda. E così si ripete, da non so quanti anni, la stessa tiritera su cineprese, guide francesi e giornalisti d’oltre-oceano… perchè quel bar è da giustificare in qualche maniera. Il regno della sostanza. La forma è stata abbandonata da piccola. Il bar è una puzza di pesce. La bruttezza è pari solo al calore dell’accoglienza e all’assaggio della granita. Salvatore è un menestrello imparato, ma sempre menestrello. Canta e decanta, non rendendosi conto che l’interlocutore non è sempre lo stesso. E quindi via: il gelato più buono in assoluto. E vai con l’assaggio. Poi ragioniamo e si adegua. Le brioche migliori della Sicilia meridionale… e anche qui siamo agli antipodi. La granita al limone migliore del mondo. E qui non ci va troppo lontano…
Forse rimangono Corrado Assenza, Irrera a Messina e pochi altri. La granita al limone di Aurelio non è bagnata e non è asciutta. L’acqua non si depone sul fondo. È come quelle ricotte a cui viene aggiunto del latte come cadeau di cremosità. Non è troppo fredda e quindi la compattezza la trova da sé e non attraverso espedienti. È un ensemble di limoni spremuti. Femminelli e monachelli. Grandi ma meglio piccoli. Buccia fragrante manco fossero di una limonaia sul Garda. Acidi.
Aurelio e Salvatore li lavorano con sicurezza e con immenso rispetto. Per una materia prima che non si può negare e per un gusto (“noi facciamo solo questa granita. La storia delle neviere e dei nevaioli, laddove nacque la granita in Sicilia – sulle Madonie ndr… -, deve essere rivalutata. La granita nasce di limone…”) che è l’espressione massima della tradizione siciliana, Aurelio è tornato alle radici. In quelle che utilizzavano la neve per congelare e per refrigerare. In quelle della povertà e dei volti adusti al sole. Qui è arrivato lui e ha portato con sé il guascone Salvatore, che fa le veci alla passione incontenibile di Aurelio per la pesca (“manco finito di lavorare e già si era imbarcato…”). Ecco che cosa mi rimane… non è molto, ma ho provato a farmelo bastare…
BAR ROMA
PORTO
SCIACCA (AG)